Capitolo 44

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In questo momento quello che tutti loro si aspettano da me è un pianto disperato, delle urla, parole confuse; magari tutti e tre.
Una reazione.
Ed è per questo che non la avranno.
Rimango immobile, impassibile, lasciandomi scivolare addosso per un ultima volta il velo di indifferenza che ho sviluppato lentamente nei mesi passati.
Niente di niente.
Non un sussulto, un tremolio, un verso o una parola.
Rimango a guardare negli occhi l’uomo che continua a sorridere fissandomi per godersi la mia reazione. Non degno Luke, Eric, Josh e Ethan nemmeno di uno sguardo. Non ho bisogno di farlo per sapere che mi stanno osservando.
Mi hanno vista fidarmi di loro, affezionarmi. Mi hanno vista debole, a pezzi, vulnerabile. Per tutto questo tempo non hanno fatto altro che prendersi gioco di me, specialmente Ethan.
Non gli darò anche la soddisfazione di vedermi delusa. Anche se ora, più che altro, sono arrabbiata.
Guardo dritto davanti a me, rimanendo immobile.
“Che maleducato, non ho fatto le presentazioni” Continua l’uomo “Io sono il comandante John Kalan” Allunga la mano per stringere la mia, ma si sta solo prendendo gioco di me, ho le mani legate. Ride ancora, a quanto pare è l’unico a trovare le sue battute divertenti.
“Immagino che tu abbia riconosciuto loro, il capo-truppa Gheden e i suoi soldati” Dice indicando Ethan.
Riesco a sentire i suoi occhi bruciare sulla pelle e provo l’irresistibile bisogno di sfuggire al suo sguardo.
“Rimarrai qui finché non ti deciderai a collaborare” Continua Kalan “Slegatela” Ordina a nessuno in particolare.
Uno dei due soldati iniziali comincia ad avvicinarsi ma Ethan lo precede.
Mi passa accanto ma io continuo a non guardarlo.
Si mette dietro di me e si china per liberarmi le mani. Esita trattenendosi sui polsi più del necessario così mi alzo in piedi mettendo più distanza possibile tra noi.
Abbasso lo sguardo sui miei polsi insanguinati e cerco di massaggiarli nei punti in cui la pelle non è ferita.
Poi mi porto una mano sul labbro che sento gonfiarsi sempre di più, perdo sangue anche da lì.
“Kedlark, portala nella sua cella” Il soldato che si era avvicinato torna accanto a me e mi fa cenno di seguirlo. Mi permetto di guardarlo un momento, non può avere più di venticinque anni. Sa cosa fanno alle persone, il motivo per cui le catturano?
Anche se in realtà .... non so su cosa mi hanno mentito Ethan e Luke.
Avanzo verso la porta, Luke, Eric e Josh si scansano.
Guardo dritta davanti a me combattendo contro la tentazione di girarmi e guardare Ethan nella speranza di sentire di nuovo quella sensazione che mi scaldava il cuore, che mi faceva sentire a casa.
Ci sono abituata, a non piacere alle persone, ma questa volta è diverso, e mi chiedo se sia possibile scegliere di smettere di amare qualcuno da un momento all’altro. Perché in questo momento vorrei che lo fosse.
“Elizabeth” Dice Kalan, mi fermo ma non mi giro “Ci rivedremo presto, non vediamo l’ora di riunire la famiglia” Ancora una volta, non capisco di cosa sta parlando.
Mio padre mi chiamava Elizabeth. Era l’unico a farlo.
“Lily” Dico alzando la voce “Mi chiamo Lily”.
Riprendo a camminare senza aspettare una risposta con il soldato alle calcagna.
Usciamo dalla stanza ma nulla cambia, il bianco deve piacergli parecchio.
Mi guardo intorno ma non c’è niente che possa farmi capire che posto è questo. Avanziamo lungo un corridoio con una sola porta in fondo che il soldato apre con una chiave magnetica.
Non mi muovo, titubante, e lui mi da una spinta premendo sulla schiena la canna del suo fucile. Rabbrividisco e cammino senza fermarmi mai seguendo le sue indicazioni.
Non sei insostituibile.
Deglutisco cercando di non pensare all’arma che ha in mano.
Ci troviamo in un altro corridoio, anche questo completamente bianco, sorpassiamo centinaia di porte con sigle diverse che non riesco a definire.
Nessuna finestra. Siamo sotto terra? O semplicemente non vogliono far capire dove ci troviamo?
All’improvviso il soldatomi tira indietro dalla maglia facendomi perdere l’equilibrio. Cado all’indietro e sbatto il gomito dove probabilmente ci sarà un bel livido.
Faccio una smorfia di dolore mentre torno in piedi il più in fretta possibile.
Non sei insostituibile.
“Ti ho detto di fermarti” Dice bruscamente, devo essermi distratta, non l’ho sentito.
Siamo in piedi di fronte ad una porta sul lato destro del corridoio, esattamente identica alle altre, solo che su questa non c’è scritto nulla.
La apre con la stessa chiave magnetica di prima ma stavolta, quando mi blocco e lui mi spinge col fucile lo sento a mala pena.
Spalanco gli occhi avanzando nel corridoio per sola inerzia.
Ai nostri lati, invece di esserci delle porte, ci sono delle celle. La metà superiore delle entrate è trasparente. Il mio battito accelera.
Passiamo accanto alle celle troppo velocemente per riuscire a processare quello che vedo.
Un ragazzo rannicchiato in un angolo con le ginocchia al petto che oscilla avanti e indietro, metà della sua testa bionda è stata rasata. Una benda gli copre metà del viso ma del sangue è passato attraverso la medicazione.
Una ragazza, seduta a terra, fissa il vuoto. Ha il volto ricoperto di graffi.
Sono tantissimi.
Mi viene la nausea al solo pensiero di quello che fanno qui dentro e mi costringo a non pensare a cosa potrebbe accadere a me.
Faccio dei respiri profondi e conto i miei passi per distrarmi dai volti premuti contro le porte, e quelli troppo esausti anche solo per sollevarsi da terra.
Quando arriviamo di fronte alla mia cella mi do una rapida occhiata intorno. Non ci sono altre guardie.
Per una frazione di secondo penso di provare a scappare. Potrei contare sull’effetto sorpresa, è vicino abbastanza e distratto con la sua chiave elettronica che sembra non funzionare.
Non sei insostituibile.
Sospiro avanzando, nemmeno il tempo di entrare che sento la porta sbattere alle mie spalle facendo tremare la luce al neon sul soffitto. Mi guardo intorno senza avere il coraggio di muovermi, c’è spazio a malapena per una brandina senza materasso in fondo alla stanzetta;  per il resto è vuota. E bianca. Decisamente troppo bianca.
Mi avvicino alla brandina contando i passi: sette. Poi noto qualcosa fuoriuscire da sotto e mi chino per vedere meglio, è un secchio, per i bisogni suppongo. Accanto c’è un asciugamano.
Non ho idea di quanto tempo sia passato da stamattina, ma all’improvviso mi sento esausta e tutto quello che vorrei è fermarmi a riposare.
Mi siedo a terra poggiando la schiena al muro e portandomi le ginocchia al petto. Sospiro rassegnata incapace di processare fino in fondo ciò che è accaduto; che sta accadendo.
Mi hanno presa.
E ora?
Josh diceva di seguire il mio istinto e l’ho fatto, ma ora non so che cosa voglia che io faccia, così mi rannicchio e aspetto.

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quanti di voi si aspettavano questo colpo di scena?

-emme <3

L'inizio della fineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora