Capitolo 2

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Ecco i miei compagni, intenti a parlare di ragazze, moto e computer; e le ragazze fanno lo stesso nella versione femminile: parlano di ragazzi, vestiti e serie tv.
Mi aggrego e mi aggiornano sulle novità. Sono tutti molto preoccupati per la verifica di scienze, e naturalmente entusiasti per la discussione sul futuro. Non lo faccio apposta, ma mi estraneo, non mi interessa niente quello che dicono.
Vago con lo sguardo nel cortile e ancora ho la stessa sensazione: vedo qualcosa sparire dietro un albero.
Fulmineo, come prima.
Non posso essermi sbagliata ancora. Eppure non vedo nulla spuntare dall'albero.
La campanella suona, ci dirigiamo a gruppetti verso le classi, osservo ancora l'albero e mi scontro con qualcuno. È un ragazzo più grande, mi sorride.
"Ehi, guarda che l'ingresso è dall'altra parte: dove vai?"
Non mi va di passare per stupida,
"Ho perso una cosa in cortile", rispondo.
"È meglio che ti affretti o chiuderanno", insiste.
"Lo stesso vale per te suppongo, o sei il guardiano dei ritardatari?"
Mi guarda in modo strano, come se mi studiasse:
"Come vuoi", e si avvia verso l'ingresso.
Do un'ultima occhiata all'albero: niente proprio niente.
Che stia impazzendo?
Magari sono i sintomi di qualche malattia neurologica. Sono abbastanza certa di quello che ho visto, ma se non c'è nulla forse è la mia mente il problema.
"Ehi! Ultimo avviso!"
Una specie di cerbero in divisa mi richiama, mi affretto.
Le ore passano noiose, l'unico guizzo sono le improbabili traduzioni delle versioni di latino: talmente assurde che perfino la professoressa sembra quasi divertita: la osservo imponente e arcigna, una perfetta matrona romana.
Poi c'è il supplizio dell'ora sul futuro, questa volta sparo che farò la scrittrice e riscuoto un certo interesse, ma poi è il turno di chi sogna di calcare le scene e la discussione si sposta sul teatro e sul suo alto valore educativo e sociale.
Finalmente suona l'ultima campanella: non ne potevo più.
Esco e osservo immediatamente gli alberi, ma non scorgo niente di insolito.
"Allora? Visto qualcosa?"
Il ragazzo di prima si è materializzato accanto a me.
"Cosa intendi scusa?"
"Non avevi perso qualcosa? O forse più di una?"
Lo guardo, è alto e slanciato, ha la pelle molto chiara che fa risaltare capelli e occhi scuri, quasi neri. È decisamente attraente, la qual cosa mi infastidisce.
"Mi stai prendendo in giro?"
"No! Perché dovrei?"
"E allora cosa vuoi?"
"Aiutarti a cercare quello che hai perso, forse l'ho perso anch'io..."
Lo fisso. Cerco di capire cosa stia dicendo.
"Non ho perso proprio niente, cercavo solo di liberarmi di te se proprio vuoi saperlo! Ma pare non sia facile!" e mi viene da ridere.
Ride anche lui.
"Tiberius".
"Opheline".
"Opheline? Sul serio? Pensavo fosse insolito il mio, ma tu mi batti!". Mi osserva.
"Da che parte vai? Ti dispiace se ti accompagno un pezzo?".
"Se ti dicessi che mi dispiace cambierebbe qualcosa?"
Ma in realtà non mi dispiace affatto, è un po' invadente, ma la sua voce mi piace, e il suoi modi anche, è molto educato.
Ci avviamo oltre il cancello della scuola, imboccando il lungo viale alberato che conduce fino a casa mia.

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