𝓒𝓪𝓹𝓲𝓽𝓸𝓵𝓸 4

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𝙳𝚒𝚊𝚟𝚘𝚕𝚎𝚝𝚝𝚊.

ɪʀɪɴᴀ

16 aprile 2012
Dutton's Casinò
Downtown, Las Vegas
Nevada, USA
Ore: 22:22

Gli incubi non si erano più presentati dopo quella notte, a seguito del funerale di mia madre.

Erano spariti tutti dalla mia testa, oltre che dalla mia vita.

Mio padre, Igor e mia madre.

La morte di quest'ultima diventava sempre più una sofferenza, che veniva divorata dalla rabbia e poi la rabbia esigeva vendetta.

Avevo ancora quegli attimi in cui un brivido inesorabile mi scuoteva forte in tutto il corpo e mi ricordava che una ferita di tale portata è pur sempre una ferita e non avrei dovuto esigere soltanto vendetta. Era stata la reazione di Ivan a farmi capire che avrei dovuto sfogare i miei sentimenti anche io. Avrei dovuto aprire il mio cuore a quel dolore e lasciarlo evaporare, altrimenti, per esperienza ormai, sapevo che ciò mi avrebbe rovinata, ancora una volta, sarei arrivata a spezzarmi.

Eppure non ci riuscivo.

Era più forte di me.

Soffrire come un cane, in silenzio e lasciare che una me, forte e matura, trionfasse fuori da quel dolore era l'unica cosa che reputavo giusta.

Da poco meno di due settimane ero tornata a vivere la mia vita come moglie del criminale più temuto della città di Las Vegas. Ero tornata apparentemente felice accolta dalle tante distrazioni che offriva quella capitale del peccato. Ficcare il naso negli affari di Edgar durante le nostre cene abituali, era diventato il mio passatempo preferito. Quando lui parlava, il mondo smetteva di essere soltanto una gabbia.

Quella sera, al casinò, mi ero seduta al solito posto per poter osservare Edgar da lontano. La partita di poker non era ancora finita. Gli uomini con cui giocava non erano i soliti magnanti. Non erano lì per sfidare Nathair soltanto per togliersi lo sfizio di averlo fatto.

Elliot era accanto a me.

Anche lui aveva notato che quelli ci sapevano fare e ogni tanto il suo lato paranoico lo faceva agitare, blaterando qualcosa che soltanto lui capiva. Arrivati all'ultimo round, gli ospiti di Edgar alzarono la posta in palio, triplicando il denaro che era stato messo all'inizio e Elliot si strinse nelle spalle, togliendosi la giacca elegante di dosso come se non gli andasse più e, sbarazzatosi di quella, arrotolò le maniche della camicia fino ai gomiti.

«Quanto sei esagerato.» commentai quella sua mossa, voltandomi per afferrare dal bancone il mio drink. Edgar era troppo furbo. Il poker per lui era facile come respirare e anche se sembrava una partita più lunga del solito, non avrebbe perso.

«Io?» chiese Elliot perplesso, «Tra noi due, quella che ha sparato al proprio fratello, sei tu.» mi fece notare, «Esagerato è una parola che sta cucita meglio su di te, che su di me.»

Lo guardai di traverso. «Tecnicamente non ho sparato a lui.»

Lui rise piano, tornando a scrutare la partita.

Distrattamente, lo studiai più del solito e mi resi conto che era la prima volta che non si presentava troppo formale. Non l'avevo mai visto con un pezzo di pantalone o camicia fuori posto o piegato come in quel momento.

Al contrario di Edgar, lui non aveva nemmeno una macchia d'inchiostro sugli avambracci.

«Nessun tatuaggio?» gli chiesi più interessata a scoprire se avesse altro in comune con il fratello. Come se non bastasse, non avevo ancora idea di cosa significasse la fenice in fiamme sulla punta della sua spalla destra di Edgar ed ero certa che un motivo per cui stava lì, c'era.

Devotion 2 // Perfidia E Inganno //Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora