𝓔𝓹𝓲𝓵𝓸𝓰𝓸

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𝙻𝚊 𝙵𝚎𝚗𝚒𝚌𝚎

ɪʀɪɴᴀ

26 luglio 2012
Municipal Yacht Harbor
West End, New Orleans
Louisiana, USA
Ore: 14:47

Una marea di suoni aveva creato un vortice nei meandri della mia testa. Avevo la sensazione di star deteriorando portata via dal vento, passata da una raffica all'altra di spinose mani che mi toccavano di continuo.

Era un incubo incessante. Un incubo che non mi lasciava andare quasi come se fosse reale. Quasi come se quelle mani mi stessero toccando per davvero e mi stessero portando via, sempre più lontano dalla terra.

I suoni non erano poi così estranei. Erano ammucchiati ma distinti. Colpi di pistola, urla, fracasso di vetri rotti e ruggiti violenti di motore.

A mano a mano che avevano smesso di disturbare il mio sonno, riuscii a schiudere un occhio. La palpebra sembrava incollata, pesante come non mai da smuovere. Misi a fuoco, sforzandomi, ciò che potevo vedere. Scrutai disorientata le mie braccia penzolanti sopra la mia testa...o forse sotto? Oltre quelle, due gambe piazzate a terra, su un asfalto bagnato. Stavano ferme.

Ero a testa in giù.

Una spalla rigida mi schiacciava lo stomaco. Provai a muovermi ma a malapena riuscii a far reagire la punta delle dita e quando ispirai, disperata e angosciata, sentii l'odore di acqua marina.

«Avevi promesso un lavoro pulito.» disse una voce maschile non lontana da lì.

«Questo è un lavoro pulito.» rispose un'altra. Quella la riconobbi all'istante. Quel suono graffiante e roco di un vecchio ammuffito.

Zio Jo.

«Cinquanta milioni, come accordato e una nuova identità.» seguì di nuovo quella voce sconosciuta.

Come accordato?

Cinquanta milioni?

Per cosa?

Per me?

«Accetterei anche un passaggio, se non ti dispiace.» replicò mio zio. «Non ho più niente da fare qui.»

«Solo tu.» rispose secco l'estraneo.

«Certo, certo.»

Un'altra voce si aggiunse poco dopo a quel quadro che non riuscivo a mettere insieme, lagnosa e spiantata. «Padre, avevi promesso di portarci con te.» Questa volta apparteneva a Otto.

«Non ho fatto nessuna promessa.» gli rispose Jo, «Vi ho solo detto che se saresti riusciti a lasciare la città in tempo, vi avrei aiutato.»

«Ma...non puoi lasciarci qui. Hai detto che mi avresti perdonato, che mi avresti dato una seconda possibilità e-»

Venne interrotto bruscamente da quella carogna di suo padre. «Si vede che non sei proprio fatto per questa vita, figliolo. Non oserei mai togliere la condanna a un traditore.»

«Ma, padre, quello ci ucciderà, ti supplico.» urlò mio cugino.

«Raf, portala sulla barca.» ordinò all'improvviso l'uomo sconosciuto e quello che mi portava in spalla, si mosse.

«Papà, per favore!» Otto si lamentava in lontananza mentre io venivo poggiata in posizione supina e una razza di scimmione mi sistemava le mani sullo stomaco come lo si faceva ai morti, una sopra l'altra.

Facevo fatica a tenere gli occhi aperti tuttavia provavo con tutte le forze di svegliarmi, di muovermi senza però riuscirci.

Appena lo scimmione si levò dalla mia faccia, scrutai un cielo grigio e triste. Una patina di nuvole tenebrose abbracciava il mio panico interiore.

Devotion 2 // Perfidia E Inganno //Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora