𝐷𝑜𝑑𝑖𝑐𝑖

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Quando non riuscivo a dormire, le ore sembravano non passare mai, protendendosi all'infinito. Di solito mi scaldavo una camomilla e mi rilassavo con un libro ma risulta difficile in mezzo alle fate.

Non savevo per quanto tempo ero rimasta stesa a terra, ad ascoltare il respiro del legno vivo sotto i miei piedi nudi che si intrecciava al lamento melanconico delle fate che accoglievano la notte. Loro si alzavano in quel momento, io avrei voluto solamente chiudere gli occhi.

Ci provai, più di una volta, cercando di concentrarmi sul mio respiro e mi avvicinai al calore tiepido di Beltaine ma qualsiasi cosa facessi, sentivo ancora la presa di Morfeus sulla pelle della mia spalla, gli occhi violetti spiritati di quando l'avevo morso.

Se ne era andato da ore ma la sua presenza continuava ad assillarmi.

Alla fine ero strisciata nel mio giaciglio, accovacciandomi tra le foglioline morbide ed ero caduta in uno stato di dormiveglia. Avevo sentito qualcuno ravvivare il caminetto, borbottare per il cibo rovinato sul tavolino, poi lasciare la stanza senza disturbarmi oltre.

Avevo sentito Adamantha entrare di gran carriera, volendomi provare un nuovo vestito ma avevo finto di non averlo fatto, rimanendo ad occhi chiusi e lei era tornata sui suoi passi, ordinando alle guardie di non far entrare nessun'altro e farmi riposare.

Loro sapevano cos'era successo, lei lo sapeva e nessuno era intervenuto. Non che mi fossi aspettata qualcosa di diverso, non mi fidavo io stessa di loro, non trovai un modo perché loro si dovessero interessare a me più del dovuto.

Era il loro Re, dopotutto, non un umano psicopatico qualunque, anzi ero convinta che per loro forzarmi il cibo in bocca poteva essere visto come un solido segno di preoccupazione; ma le fate hanno un modo strano di interessarsi alle persone, per cui, io non avrei ascoltato una loro singola parola su quel conto comunque.

Fui quasi certa che mi sarei finalmente addormentata quando sentii un gran frastuono e rumori di passi fuori dalle mie stanze poi, tutto d'un tratto, la grande porta si aprì con un cigolio sordo e con un gridolino di sorpresa, mi rialzai seduta.

Riuscivo a riconoscere il suo nauseante profumo di fiori esattamente come credevo che lui riuscisse a riconoscere il mio, solo che quella volta, avevo nascosto il coltello per tagliare il pane tra i cespugli del giaciglio e fui pronta a conficcarglielo nella pelle pallida se si fosse avvicinato un'altra volta.

Strabuzzai gli occhi quando invece entrarono tre delle sue guardie personali, visi stoici e braccia cariche di...

Erano biscotti al burro quelli che vedevo? A tonnellate.

In pacchetti e contenitori, poi patatine, sandwiches all'uovo e bacon ancora confezionati. Altre guardie entrarono con pizze surgelate, caramelle al caramello salato, brownies e li scaricarono come spazzatura a lato del mio letto senza rivolgermi nemmeno uno sguardo, prima che a grandi falcate, entrò anche Morfeus, il naso e la bocca coperti dalla manica larga e piumata della sua mantellina, indicando alle sue guardie di continuare a buttare cibo nella mia stanza con una plateale smorfia disgustata.

Lanciò un pacchetto di cioccolatini all'arancia sopra al mucchio di altre merendine come per mettere la ciliegina sulla torta ma io non riuscii a dire mezza parola nell'assurdità della situazione.

«Sfamati e non tormentarmi più del dovuto» Sentenziò velenosamente prima di abbassare i suoi occhi sul coltello che avevo ancora stretto in mano. Seguii allibita il suo sguardo, poi lo alzai sul suo sperando di non doverlo usare sul serio ora che ero stata scoperta.

Lo vidi assottigliare gli occhi e le ali fremere nervosamente ma il mio stomaco reclamava di essere riempito così tanto che nemmeno riuscii ad esserne spaventata come avrei dovuto.

𝐿𝑎 𝐹𝑎𝑟𝑓𝑎𝑙𝑙𝑎 𝐷𝑖 𝑀𝑜𝑟𝑓𝑒𝑜Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora