𝑉𝑒𝑛𝑡𝑖𝑠𝑒𝑡𝑡𝑒

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L'aria vibrò per qualche secondo, forse un'eternità.

Eppure non sembrò abbastanza quando Morfeus per primo distolse lo sguardo per poi passarmi con un braccio dietro le ginocchia.

«Ti riporto a letto, sei molto stanca.» Lo disse come un dato di fatto, come se le parole che avevo appena detto gli fossero passate sopra la testa come acqua. Non ebbi nemmeno la forza di controbattere e dovetti far pace con me stessa nel constatare che aveva ragione, ero stanca ma non abbastanza da non sentirmi completamente in imbarazzo.

Era stato gentile con me, non potevo negarlo ma non avrei dovuto trovarmi così debole davanti a lui e parlare di un'ipotetica, quasi inverosimile, verità in cui lui mi piaceva sul serio. Perché lui chiaramente non ne voleva sentir parlare.

«Lascio scorrere quella bugia solo perché sei debole» Borbottò prima di alzarmi dal suolo tra le sue braccia come se non pesassi nulla.

Poi compresi la situazione.

Credeva stessi mentendo.

Mi aveva visto in uno dei momenti più vulnerabili e pensava che ancora potessi mentirgli senza riguardo. Non ebbi la forza di contraddirlo finché non mi posò di nuovo sul giaciglio.

Pensare di dover chiudere gli occhi di nuovo con la paura di ritornare a vagare nei suoi ricordi mi fece venir la nausea, ancora di più il fatto di rimanere sola. Diedi colpa all'appena terminato attacco di panico per quella debolezza.

Prima che se ne potesse andare gli strinsi il polso, beandomi della sua espressione esterrefatta puntata sulle mie dita chiuse attorno a lui.

«Non ho mentito. Per quel che vale sono state poche le volte in cui sono riuscita a mentirti veramente.» Risposi debolmente, cercando i suoi occhi con i miei, lusso che lui non mi concesse.

«E per questo non smetterò mai di ammettere quanto io ti odio per esserti incastrato tra le mie costole come se fosse il tuo posto da sempre, che sono confusa perché so che l'odio che provo è soffocante e mai abbastanza allo stesso modo»

Continuai ma non riuscii a far suonare le parole nel modo arrabbiato che avrei voluto e lui se ne accorse. Alzò gli occhi su di me, di nuovo lucidi e mi si strinse il petto fastidiosamente.

«Non dire così. Ti supplico non dirlo» La sua voce era rotta, disperata, esattamente come il modo in cui stringeva la mia camicia da notte tra le sue dita.

«È la verità» Gli assicurai, sentendo la gola bruciare «Smettila di decidere per me il valore delle mie parole» Continuai ma lui scosse la testa.

«Non puoi permetterti di dire queste cose, Anthea. Non posso sopravvivere ad una creatura come te. La clemenza non è nella mia natura e sembra che non sia nemmeno nella tua»

Strinse la mascella, un lampo di follia e rabbia gli contorse il volto.

Ricordai.

Ricordai la prima volta in cui lo vidi, quel disgusto nei suoi occhi che si era trasformato in pura ira, quella rabbia e odio che si erano riverberati anche dentro di me.

«Se ci fosse un modo per estirparti dal mio essere, lo userei. E invece mi ritrovo a strisciare ai tuoi piedi» Sibilò, avvicinando le nocche alla mia guancia.

Mi chiesi se fosse stato il momento di spaventarsi, se avessi dovuto urlare.

Carezzò la mia pelle come se fosse stata un petalo fragile prima di aprire le dita lunghe sulle mie guance, stringendo.

𝐿𝑎 𝐹𝑎𝑟𝑓𝑎𝑙𝑙𝑎 𝐷𝑖 𝑀𝑜𝑟𝑓𝑒𝑜Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora