𝐷𝑖𝑐𝑖𝑎𝑠𝑠𝑒𝑡𝑡𝑒

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Passai davanti alle sue stanze circa un paio di volte.

Niente urla frustrate o spaventate, nessuna parola astiosa, nemmeno uno sbuffo infastidito.

Si era ritrovata la stanza pervasa di piante velenose e non aveva sbattuto ciglio e mi chiesi se stessi diventando troppo prevedibile. Avrei scommesso che lei si aspettasse una punizione, che la trascinassi fuori dalle sue stanze ancora per chiuderla nelle segrete fino al giorno del matrimonio e anche se quell'idea mi aveva gironzolato per la testa fin quasi all'ultimo momento, pensai che fosse troppo ovvio. Avrebbe dovuto penarsi nel dubbio e nella paura della mia prossima mossa, avrebbe dovuto far chiedere notizie su una mia eventuale decisione.

Invece il ratto dormiva tranquillo con a fianco i suoi disgustosi stuzzichini umani.

Ero tentato di bussare alle sue porte ed alzai il pugno prima di farlo ricadere al mio fianco con un grugnito frustrato e camminare avanti indietro davanti alla sua porta ancora per un po', speranzoso.

Mi dovetti rassegnare dopo poco. Quella non urlava.

Sbuffai infastidito prima di marciare verso le mie stanze definitivamente con la luce fastidiosa del mattino che a tratti si infiltrava tra le radici delle pareti a bruciarmi gli occhi, stringendo tra le dita la maschera a volpe che incurante la ragazza aveva fatto cadere a terra.

Mi chiusi di nuovo nella mia stanza da letto, la rabbia nei suoi confronti mi faceva prudere le mani e temetti che per quel motivo non sarei riuscito a dormire. Non se i miei polpastrelli trattenevano ancora la sensazione della sua pelle a contattato con la mia, come l'ultima volta che era successo avevo provato a risciacquarmi le mani, a sfregarle contro le vesti ed invece sentivo ancora le dita stringere le sue, le sue vene pulsavano sotto i miei polpastrelli e i suoi capelli scuri come belladonna mi solleticavano il mento.

Chiusi gli occhi prendendomi la testa tra le mani seduto sul giaciglio, l'impulso di gridare mi graffiava la gola.

Bugiarda, infame e volubile veleno.

Stavo legando il mio futuro ad un fantasma, si aggirava pallida nei miei sogni, piangeva e mi additava fredda come la nuda pietra.

Cosa vedeva nel suo specchio quando ci guardava attraverso? Si faceva paura come faceva paura a me? Si rendeva conto di ciò che si trascinava addosso senza ritegno oppure era spaventata anche lei di guardarsi alle spalle e vedere le ombre, la nebbia e il vuoto?

Ecco a cosa mi riduceva una ragazza umana: un pazzo.

Agguantai uno dei cuscini per dare sfogo al mio tormento nel modo sbagliato quando uno scricchiolio a lato della stanza mi mise in tensione. Acuii l'udito e, fingendo di non aver notato nulla di strano, la mia mano si allungò comunque sul giaciglio, solleticando l'erica con il palmo.

Mi allungai ancora, guardando l'edera al suolo e al posto del morbido cuscino, le mie dita si richiusero attorno all'elsa scarlatta del mio pugnale. Un altro scricchiolio seguito da qualcosa che graffiava nel legno e la lama del pugnale si conficcò nella parete, seguito da un sospiro e una risata ombrosa.

«Avrei dovuto bussare» Ammise una voce ed io infossai infastidito le spalle.

«Tu dici?» Borbottai, sollevato di non aver, in effetti, centrato il bersaglio.

Da un anfratto ombroso a lato delle porte infatti uscì, ancora per metà aviforme, Tyto scrollandosi qualche piuma nera dalle spalle e zampettando con gli artigli sguainati. Scardinò la lama dal legno e me la porse.

«Ho notizie dalle terre di confine» Sibilò mentre riprendevo il mio pugnale, offrendogli una sedia di fianco al mio giaciglio.

«Notizie infauste se ti fanno uscire quando ormai è sorto il sole» Constatai debolmente, passandomi una mano tra i capelli, cercando di rimanere sveglio, gli occhi pesanti e roventi.

𝐿𝑎 𝐹𝑎𝑟𝑓𝑎𝑙𝑙𝑎 𝐷𝑖 𝑀𝑜𝑟𝑓𝑒𝑜Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora