𝑉𝑒𝑛𝑡𝑖𝑐𝑖𝑛𝑞𝑢𝑒

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La luce ridente delle Fiammelle stonava con il clima gelido della cena. Avrebbe dovuto essere un banchetto con l'intera Corte delle Falene in onore del mio ritorno ma Morfeus aveva rifiutato categoricamente, non che a me dispiacesse, le feste delle fate non facevano ancora per me e arrivai alla conclusione che non facessero nemmeno per Morfeus.

Seduta al tavolo, presi qualche assaggio dai piatti bellamente disposti davanti a noi.

Qualsiasi cosa ci mettessero nel loro cibo era delizioso. Tutto sembrava avere un retrogusto dolce, dalla carne insaporita dal vino fortissimo che producevano al Giardino, alle erbette fresche guarnite di composta di frutti di bosco.

Non mi ero fatta domande, non avevo discusso da quando ero tornata dalle Grotte Auree e per quel che valeva, non avevo avuto nemmeno tempo di scambiare una parola con il mio fresco marito. Faticavo a guardarlo, non avevo idea del motivo per cui sembrasse così stanco, e dolorante: non si era nemmeno preso la briga di sistemarsi i capelli mossi, i riccioli gli ricadevano come una cascata pallida sugli occhi viola, guardava in basso silenzioso senza prendere un boccone di cibo e faticai a non sentirmi in colpa mente io mangiavo senza problemi.

Avrei voluto chiedere cosa gli fosse successo ma ebbi paura di essere l'ultima persona che volesse sentir parlare in quel momento, per cui, continuai a fare quello che mi riusciva meglio in assoluto: ascoltare in silenzio.

Per qualche momento riportai la mente alle Grotte Auree e al fatto che ricordassi così poco del mio soggiorno in quei luoghi, tutto sembrava irreale e tangibile allo stesso tempo, come se mi fossi impigliata nel più lucido dei sogni.

Avevo visto i miei genitori, ero riuscita a chiedere loro scusa, ad abbracciarli un'ultima volta e anche se ero consapevole si trattasse solamente di magia ed illusione, qualcosa dentro di me si era ricucito, magari non perfettamente e magari avrei portato la cicatrice dentro di me per il resto della mia vita ma sentivo meno soffocante la sensazione di essere spezzata a metà.

«Hai intenzione di ignorarmi per il resto della nostra vita?» Il suono della sua voce fu talmente inaspettato che quasi mi strozzai con l'acqua che avevo bevuto dalla coppa di legno intarsiato. Sentii il suo sguardo bruciarmi il corpo, i suoi occhi cercare qualcosa su di me che non comprendevo mentre mi ripulivo le labbra.

Tossicchiai appena prima di riprendere il controllo e rispondere.

«Da quando sei così incline alla conversazione?» Chiesi sfacciatamente, cercando di celare il velo di genuina curiosità, il suo sguardo però non si incrinò nemmeno per un secondo, rimase serio e fui obbligata a poggiare sul tavolo il bicchiere.

Se voleva fare lo scontroso taciturno a me stava bene. Continuai a guardarlo e lui a rimanere in silenzio, il picchiettare innervosito del mio dito sul tavolo scandiva il tempo di quella messinscena.

«Vuoi parlare ma non hai nulla da dire» Esalai nervosamente, non riuscendo più a sopportare il silenzio imbarazzante, non provai nemmeno a capire che cosa frullasse per la testa di Morfeus.

«Ci sarebbero molte cose che vorrei dire» Seguii il suo pomo d'Adamo abbassarsi e salire lentamente, fermandomi al labbro inferiore martoriato a sangue dai denti che come richiamati dal mio sguardo guizzarono bianchi a stringere ancora la carne rosea del labbro per qualche secondo.

«Cosa ti trattiene?» Indagai, da quello che avevo visto Morfeus faceva quello che aveva voglia di fare quando ne aveva voglia, anche se la maggior parte delle volte era questione di se. Optai per la conclusione che lui non sapeva cosa voleva né come ottenerla e questa sua insicurezza mosse un'inaspettata sensazione di sadico compiacimento dentro al mio petto.

𝐿𝑎 𝐹𝑎𝑟𝑓𝑎𝑙𝑙𝑎 𝐷𝑖 𝑀𝑜𝑟𝑓𝑒𝑜Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora