14: Il sogno

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Terre di Alaron, tanti anni prima.

Era una notte come un'altra, sul pianeta Terra. L'ennesima notte in cui Evan Lebrow si sentiva fuori posto e niente riusciva a consolarlo.
La luce argentea della luna illuminava la sua figura, accendendo le ciocche chiare dei suoi capelli. Era inverno, e faceva così freddo che non riusciva più a muovere le dita. Neppure i falò accesi da suo fratello quache ora prima riuscivano a riscaldarlo: i fiocchi di neve gli cadevano fitti sul volto e sui vestiti, facendolo rabbrividire ad ogni passo, mentre cercava di avanzare in mezzo alla tempesta che stava nascendo.
Il vento che gli scuoteva il mantello, però, lo disturbava sicuramente meno della persona che aveva di fronte.

Alaron, il suo gemello, era tornato. E come al solito lo stava fissando con aria disperata, senza riuscire a capire che lui, ormai, la sua scelta l'aveva già presa da un pezzo.

-Evan, ti prego, non andartene. Resta qui, aiutaci.-

Gli occhi di Alaron lo supplicarono per l'ennesima volta, facendolo tremare.
Evan lo ignoró, dandogli le spalle: non era sicuro di riuscire a scappare, se suo fratello continuava a guardarlo in quel modo. Si sentiva in colpa quando lo vedeva così deluso dalle proprie decisioni, nonostante fosse ormai convinto di ciò che voleva fare: Alaron non era riuscito a fargli cambiare idea, ma era sicuramente bravo a farlo tentennare, a far esitare la parte meno testarda di lui che gli era ancora affezionata.

-Ma cosa ti cambia, se io me ne vado o no? Lasciami scegliere con la mia testa.- ribatté Evan, con tono brusco. In fondo, era meglio comportarsi così, con lui: se si fosse mostrato tentennante, Alaron non lo avrebbe mai lasciato in pace. –E poi, il mio aiuto non ti serve. Ci sono già centinaia di persone che ti sostengono.-

-Sì, certo, lo so.- ammise Alaron, con gratitudine, pensando inevitabilmente ai suoi amici: Iskender, che aveva creato quasi tutte le sue armi, Sayula, che lo aveva protetto, Jehan, che lo aveva consolato. Ma non gli bastava: non sarebbe stato felice, se suo fratello fosse stato triste, lontano da lui, inevitabilmente costretto a combatterlo. Strinse i pugni con decisione, e aggiunse, sincero: -Ma quelle persone non sono te, Evan.-

Alaron cercò di nascondere ogni incrinatura della voce, mentre si avvicinava a Evan. Di nuovo.
Come se non avesse paura di lui. Come se i giorni in cui vivevano ancora su Pangram, il loro pianeta, non fossero poi così distanti. Avevano smesso da tempo di giocare insieme, ma Alaron a volte sembrava dimenticarlo. Come sembrava dimenticare che Evan, ormai, apparteneva alla fazione nemica, e fosse a un passo dall'abbandonarlo per sempre.

Evan chiuse gli occhi, cercando di ignorare le gambe di colpo più pesanti. Perché Alaron si ostinava a cercare del buono in lui? Ormai, lui era cambiato. Da quel giorno di due mesi prima, dal giorno in cui si era ritrovato senza più i genitori e un minimo di comprensione per i terrestri, non era stato più lo stesso, né lo sarebbe mai tornato.
-Lasciami in pace.- disse, con tono fermo. -Io voglio tornare in guerra e vendicarmi. Non sono un codardo come te, non mi interessa fare pace con i terrestri. Hanno ucciso i nostri genitori, non voglio che ora siano felici.-
-Ma i terrestri non sono tutti uguali, non sono tutti così! Proviamoci, almeno.-, lo supplicó Alaron, aggrappandosi a un lembo del suo mantello. –Dobbiamo vivere in pace, fare degli accordi, proteggerci a vicenda.-

-Come faccio a credere a una cosa del genere?- sbottó Evan, scansandolo via. -Hanno distrutto la nostra famiglia, il nostro pianeta. Non posso mica perdonarli così.-
Chiuse gli occhi per un istante, quasi sperando che tutto ciò che gli stava intorno svanisse: quel bosco, il cielo ormai scuro, la rabbia che non riusciva più ad abbandonarlo.

-E comunque, tu non puoi cambiarmi. Smettila di provare a farlo. -, aggiunse, più stancamente.

Certo, forse gli sarebbe piaciuto essere un po' più simile ad Alaron: avrebbe barattato volentieri la propria sete di vendetta con il suo desiderio di pace.
Ma in fondo lui era fatto così, e doveva farselo bastare, se voleva fare di testa sua. Sospirò piano, e trovò finalmente il coraggio di avanzare, di incamminarsi sul sentiero sassoso che si ritrovò di fronte e di non guardarsi più indietro.

Il vento freddo della sera coprì leggermente le ultime parole che Alaron gli urló contro, ma non abbastanza da impedirgli di sentirle.
-Io non sono un codardo, Evan! Lo sai perché voglio la pace? Perché..loro sarebbero semplicemente felici di vederci vivi! Dobbiamo vivere, non continuare a combattere!-

Evan avrebbe tanto voluto dargli retta, ma non ci riuscì.


Per un attimo si ricordò di quando lui e Alaron vivevano ancora su Pangram e la gente faceva fatica a distinguerli: avevano lo stesso naso, la stessa altezza, e persino la stessa quantità di piume nelle ali. In fondo erano nati nello stesso giorno di mezza estate.

Anche se Evan aveva sempre preferito il gelo e Alaron le fiamme, avevano passato anni a giocare insieme. La loro madre gli diceva sempre che erano due splendidi fiocchi di neve di due colori diversi, uno bianco come il ghiaccio e l'altro rosso come il fuoco.
Forse, però, quei due fiocchi di neve ormai non si assomigliavano più.
Forse uno dei due fiocchi di neve ormai si era sciolto, incapace di sopportare il fuoco della guerra.

****

Cork, Irlanda, 1929

BRIAN

Quando, la mattina dopo aver letto il libro con Ivy, Brian aprì gli occhi, ripensò con un certo stupore al sogno che aveva fatto, che comprendeva due gemelli dai colori diversi. Il sogno del loro incontro, del loro distacco e del loro litigio lo aveva visitato quella notte, in maniera chiara e distinta. Non impiegò molto a ricordare i nomi che aveva sentito, e a comprendere chi fossero stati i protagonista di quella visione: Evan e Alaron Lebrow, i due incantatori del libro di Ivy.

Entrambi i gemelli gli avevano fatto percepire delle sensazioni,e per qualche ora erano stati vicino a Brian come avrebbero potuto esserlo dei vecchi amici, o delle persone di cui riusciva a leggere i pensieri. Stropicciandosi rapidamente gli occhi, Brian ricordò, con una certa inquietudine, di aver chiaramente distinto la rabbia di Evan, un giovane alieno dai capelli chiari e il cuore insoddisfatto, così come il dolore di suo fratello Alaron, il suo desiderio di pace con cui aveva cercato di ricucire le ferite della perdita dei genitori. Ricordò la loro storia che aveva letto giusto poche ore prima, il modo in cui Alaron si era ribellato al fratello e alla sua guerra contro ai terrestri, e rabbrividì: perché quella storia gli sembrava tanto familiare, e perché, addirittura, ne aveva sognato i protagonist in maniera così vivida? Perché la sua mente li aveva immaginati mentre erano ancora giovani e vulnerabili, ancora legati l'uno all'altro, prima di distruggersi a vicenda?

Brian si alzò in piedi, e, come l'anno prima, quando aveva sognato di quel misterioso ragazzo di nome Faolan, cercò di calmarsi, mentre si preparava per le lezioni e per la nuova giornata che lo attendeva. Come l'anno prima, si ripetè che quella era soltanto una leggenda molto comune, una leggenda che lo aveva fin troppo suggestionato. Ma al contrario dell'anno prima, non riuscì a convincersene del tutto.

Silver Soul Libro 1: Gli IncantatoriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora