12. Sbarco

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Pensò che avrebbe dovuto nascondere il suo mezzo di trasporto, per non rivelare in che direzione fosse scappata; ma si rese subito conto di non essere abbastanza forte per trascinarlo, da sola, in mezzo a quella massa di ciottoli.

Ad ogni modo, immaginò che la sua destinazione sarebbe da subito apparsa alquanto scontata: i faraglioni a picco sul mare non consentivano di certo lo sbarco, e puntare verso il mare aperto a bordo di una scialuppa sarebbe stata una follia.

Dalla spiaggia, un sentierino si inerpicava su per l'erto declivio, e Amina vi si incamminò a passo svelto.

Nonostante il genitore l'avesse costretta a una vita da reclusa fin dal giorno in cui si era reso conto che stava diventando donna, le membra della ragazza non erano quelle di una persona sedentaria, dedita al canto e al ricamo: ogni giorno camminava per ore nello sconfinato parco della tenuta di famiglia, si allenava nella corsa e nella danza: poteva anche essere di corporatura minuta, ma era tutto muscolo e nervo.

Quando, dalla cima della scogliera, osservò il vascello pirata ancora alla fonda nella baia, aveva solo un leggero affanno.

Chissà se si erano già accorti della sua assenza? Il minuscolo sentiero si allargava in uno leggermente più battuto e, senza indugio, la ragazza lo imboccò, sperando che la riconducesse alla civiltà.

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L'alba la trovò ancora in cammino, sempre più sola, sempre più esausta.

In realtà, la strada percorsa non giustificava un simile senso di spossatezza, che andava quindi attribuito anche alle emozioni intense vissute.

Domande senza risposta le si affacciavano nella mente, fomentando la sua ansia.

Da quanto tempo era fuggita? Un'ora, o magari tre? La sua fuga era stata scoperta subito? Quanto ci avevano messo i suoi rapitori per mettersi al suo inseguimento? Erano vicini? Qualcuno di quei marinai era capace di tenere un passo come il suo, sulla terraferma? O la salita alla scogliera le aveva fatto prendere un po' di vantaggio?

Qualcosa le diceva che, nel caso fossero riusciti a riacciuffarla, i pirati non sarebbero più stati gentili e premurosi con lei come prima.

Motivo in più per non farsi prendere.

Il villaggio apparve all'improvviso da una curva del sentiero, come evocato da un incantesimo. Capanne di chitina a pianta ottagonale, con il tetto di paglia, tutte uguali tra loro, circondate dalla densa foschia che, a quell'ora del mattino, si stava sollevando dal terreno.

Le si accapponò la pelle, quando si rese conto di dove era capitata: solo le Coccinelle potevano vivere in quel misero accampamento, piuttosto che in una vera città.

I suoi tutori dicevano che erano umani solo per metà, che vivevano in uno stato primordiale, privi di igiene e di istruzione e che, senza il controllo delle Termiti, avrebbero finito per sbranarsi tra loro come predatori inferociti.

Amina aveva sempre contestato quella versione: una delle sue ancelle apparteneva a quell'etnia, ed era una ragazza a modo, timida e timorata del Signore del Vuoto.

Sapeva inoltre, per averne sentito parlare dal padre, che nella capitale era addirittura sorto un movimento a favore dei diritti degli schiavi.

Eppure, ora che si trovava lì, completamente sola, vestita come una pezzente e per di più con abiti maschili, non poteva fare a meno di provare un brivido gelato. Tutte le storie che fin da bambina aveva sentito raccontare su un popolo barbaro e violento, che le Termiti avevano dovuto soggiogare per proteggersi, stavano riaffiorando una dopo l'altra.

Scostando le tende che usavano a mò di porta, gli abitanti cominciavano a venire allo scoperto, osservandola in silenzio mentre si aggirava fra le loro abitazioni come un fantasma. Erano tutti altissimi, magri in modo innaturale, con spalle larghe, zigomi sporgenti, e la pelle ambrata un po' più chiara della sua.

I maschi avevano il cranio rasato e il corpo più o meno ricoperto di tatuaggi; le donne invece portavano i lunghi capelli, perlopiù neri, raccolti in trecce o code di cavallo, che ornavano con anelli d'osso; dello stesso materiale erano anche gli orecchini e i bracciali con i quali si agghindavano. Ad un certo punto, un uomo sulla sessantina le si parò davanti, sbarrandole il passo.

A occhio e croce, doveva aver superato già da un po' i cinquant'anni; la barba incolta era ormai più bianca che nera, i bordi degli occhi e della bocca erano solcati dall'età.

Il cuore di Amina, adesso, batteva all'impazzata; ma lo sconosciuto le stava sorridendo gentilmente, e non sembrava avere cattive intenzioni.

«Ti sei persa, bimba? Da dove arrivi?»

«Dal mare... Dalla spiaggia.» balbettò la ragazza, a corto di ossigeno.

L'altro annuì con aria grave. «Un naufragio, come avevo immaginato. Hai la faccia sconvolta, devi essere ancora sotto shock.» Lo sconosciuto si sporse leggermente in avanti, chiudendo delicatamente la mano intorno al suo braccio. «Non devi temere: sei al sicuro, adesso. Io sono Gunari, e cerco di essere una guida per i membri di questa piccola comunità. Qual è il tuo nome? Riesci a ricordarlo?»

«Lyuba!» Sibilò d'un fiato la giovane, dando quello della propria ancella senza nemmeno pensarci, terrorizzata da quello che sarebbe potuto succedere nel momento in cui quella gente avesse scoperto la sua vera identità.

Il capovillaggio stava per dire qualcosa, quando dei rumori attirarono la sua attenzione.

«Rimani in disparte. Fai silenzio e tieni la testa china, andrà tutto bene.» le mormorò, a bassa voce. Quindi la spinse, dolcemente ma con fermezza, allontanandola da sé, e si fermò a gambe larghe vicino al centro dello spiazzo in cui, a giudicare dai resti, veniva acceso il fuoco del bivacco, la sera.

 Quindi la spinse, dolcemente ma con fermezza, allontanandola da sé, e si fermò a gambe larghe vicino al centro dello spiazzo in cui, a giudicare dai resti, veniva acceso il fuoco del bivacco, la sera

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SPAZIO AUTORE

Vi lascio intanto un capitolo corto, per farmi perdonare i mancati aggiornamenti delle settimane scorse.

Amina è arrivata a terra, e si ritrova in mezzo a coloro che il suo popolo sta schiavizzando.

Come la accoglieranno?
Cosa scoprirà la ragazza, su di loro e sul suo stesso popolo?

Ho immaginato le Coccinelle come un'etnia vessata, senza una vera patria. Mi sono quindi ispirato, per le sonorità dei nomi, ad alcuni nomi gitani: Gunari significa "guerriero", mentre Lyuba vuol dire "amore".  :)

A presto!


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