23. Decisione (I)

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Appena tutti i maschi se ne furono andati, Amina venne circondata da uno stuolo di ancelle starnazzanti: chi voleva spalmarle un unguento lenitivo, chi piangeva, chi pregava il Signore del Vuoto, chi si prodigava per farla stare più comoda, aggiungendo cuscini.

Tutte quelle attenzioni non richieste finirono per farla andare su tutte le furie, e la rabbia le diede la forza di reagire al dolore che provava, sia nel corpo che nell'anima.

«Dove eravate dieci minuti fa, inutili ipocrite! Non una di voi che abbia mosso un dito per aiutarmi!»

In realtà, era ben consapevole che nessuna di loro avrebbe potuto fare nulla, anzi: se avessero anche solo pensato di opporsi al loro padrone, avrebbero rischiato ben più di qualche scudisciata.

Ma ciò non faceva altro che accrescere la sua ira: quelle ragazze che accettavano passivamente la loro condizione perché "è sempre stato così", erano il bersaglio perfetto per sfogare la sua frustrazione.

Rialzatasi in piedi, le prese a spintoni e male parole e le cacciò tutte tranne una, l'unica che era rimasta rispettosamente in disparte e in silenzio, in attesa che la sua protetta avesse bisogno di lei: Lyuba, la giovane straniera alla quale aveva rubato il nome durante la sua fuga.

Dopo aver chiuso la porta che metteva in comunicazione il salone con gli appartamenti della servitù, Amina si rintanò nella camera da letto, facendo cenno all'altra di seguirla.

Per un po' rimasero semplicemente sedute l'una accanto all'altra senza dire nulla, traendo vantaggio dalla reciproca compagnia.

L'ereditiera fu grata di quella quiete, che utilizzò per calmarsi e riprendere fiato.

Giurò a se stessa che non avrebbe mai più permesso a un uomo di prevaricare su di lei a quel modo.

Tuttavia, malgrado queste risoluzioni, sentiva su di sé il peso della sconfitta: l'incontro che sperava risolutore si era concluso con una sua disfatta, e aveva l'impressione di non poter fare altro per la sorte dell'affascinante fuorilegge.

«Ho visitato un villaggio di Coccinelle, sai?» raccontò, tanto per rompere il ghiaccio.

Gli occhi della servitrice scintillarono, ma lei seguì comunque un approccio prudente, quasi temesse qualche tranello: «davvero, signora?»

«Sì. Ho potuto toccare con mano, per la prima volta, quanto siano sbagliate le notizie che vengono diffuse sul loro conto.»

«Davvero, signora?» ripetè Lyuba «non siete stata fatta a pezzi da quelle bestie sanguinarie?»

Era sempre molto difficile capire quando la ragazza scherzava e quando no, ironia e cinismo erano lo scudo dietro al quale teneva ben nascosto il suo spirito ribelle.

«A dire il vero, mi sono imbattuta in uomini regrediti a uno stato primordiale.» la provocò la Termite.

L'altra strabuzzò gli occhi, ma non disse nulla.

«Personaggi violenti, volgari e meschini» riprese quindi la padrona «ma erano uomini di mio padre.»

La Coccinella si lasciò andare ad un largo sorriso e, finalmente, si rilassò. «Quale tribù avete visitato?»

«Non so, ma il loro capo si chiamava Gunari. È la tua?»

«No, io sono del clan di Boldo.»

Rimasero a parlare a lungo della vita nelle piantagioni e dell'avventura vissuta da Amina, prima a bordo del vascello pirata e poi a piedi, in fuga nel vasto mondo.

Alla giovane non pareva vero di avere qualcuno con cui condividere finalmente i suoi ricordi; Lyuba, del resto, era dotata di una vivace intelligenza, e commentava tutto facendola sempre sentire a proprio agio.

Di tanto in tanto, qualche dama di compagnia si affacciava per chiedere se la signorina volesse bere o mangiare qualcosa.

Amina le cacciava invariabilmente a male parole, ridendo poi insieme alla Coccinella delle loro facce stupite e scandalizzate.

«Sai che ho imparato anche la Pois?»

«Incredibile! In un solo giorno?»

«No, non l'ho imparata tra i tuoi conterranei, ma da Velluto in persona!»

«Sapete che ogni tribù ha delle minuscole varianti? Mi piacerebbe vedere quale avete appreso voi!»

Amina era consapevole che, molto probabilmente, la sua compagna stava solo cercando di distrarla e farla sentire meglio; tuttavia, fu lieta di assecondare la sua richiesta.

Si alzò in piedi, e chiuse gli occhi: in un attimo, rievocò la melodia monotona ma ritmata di Schienadilegno, e cominciò a muoversi, immaginando la sua maestra davanti a sé, con tale intensità da riuscire quasi a vederla davvero.

A ogni piroetta, a ogni lancio verso l'alto di una gamba o protesa di un braccio in avanti, era come se il dolore e la rabbia fluissero via da lei, disperdendosi come fumo nell'aria.

Quando si fermò per riprendere un attimo fiato, l'ancella la stava fissando con un'espressione di pura estasi.

«È incredibile, signora.» esclamò, con genuina ammirazione «riuscite a fondere la grazia e l'eleganza delle danze della vostra tradizione, con la potenza e la passione della Pois. Non ho mai visto nulla di simile. Con natali diversi, avreste potuto essere un'artista eccezionale!»

"O una lottatrice" pensò l'ereditiera, senza però esternare quel pensiero a voce alta.

Fraintendendo il motivo di quel cambio di espressione, la cameriera si affrettò a scusarsi nel caso avesse detto qualcosa di sbaglaito.

Per tutta risposta, Amina si accucciò accanto a lei, prendendole le mani nelle sue.

«Fammi una promessa.» le chiese, accorata. «Non scusarti mai più con me, se non credi di aver mancato davvero in qualcosa.» l'altra fu così sorpresa da restare senza parole, gli occhi che vibravano per l'emozione.

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