15. Quello che Yara vede

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Mentre, seduta a gambe incrociate per terra, riprendeva fiato con una tazza di té fumante tra le mani e del pane secco e croccante sotto i denti, una ragazza di poco più grande di lei arrivò tutta trafelata, e strattonò Gunari per una manica, per attirare la sua attenzione.

«Capo, Nonna Yara dice che la Principessa del Mare è arrivata, e vuole che venga subito portata da lei. È molto agitata, urla e pretende di essere obbedita all'istante. Tu capisci di cosa sta parlando?»

«Deve essere per forza lei» replicò quello, additando la figlia del governatore. «Accompagnala.»

Amina non fece in tempo a opporsi: la nuova venuta la afferrò per un polso, la fece alzare a forza senza nemmeno lasciarle finire quella colazione improvvisata e la trascinò con sé, sgusciando come un fluido tra le capanne tutte uguali strette l'una accanto all'altra, fino a raggiungere l'unica un po' discosta dalle altre, che si ergeva su un leggerissimo declivio, circondata da pali sui quali erano infissi pezzi essiccati di animali.

Nonostante non si sentisse in pericolo, l'ereditiera sentì che il cuore cominciava a batterle all'impazzata.

L'interno della catapecchia era immerso in una fitta penombra, rischiarata appena dalla luce che filtrava dalle giunzioni tra una pelle e l'altra della copertura esterna, e da una grossa candela posata a terra, al centro dell'ambiente.

Seduta a gambe incrociate dal lato opposto all'ingresso, proprio di fronte al lume, stava la donna più vecchia che Amina avesse mai visto. Sembrava che la pelle secca e raggrinzita le fosse stata attaccata direttamente allo scheletro, tanto era magra e ossuta.

Era seppellita sotto un folto strato di coperte; solo la testa e le braccia, nude e raggrinzite, sporgevano, dandole l'aspetto di un'antica mummia, non ancora estratta del tutto dal sarcofago in cui era stata ritrovata.

«Siediti, bambina, e parla con me.» non sembrava un ordine, eppure, dal suo tono, era evidente che la donna era abituata ad essere obbedita. La sua voce era poco più di un sussurro, sembrava che parlare le costasse uno sforzo enorme, al punto che dopo quella breve frase, sbatté le palpebre e prese un grosso respiro.

Amina si sedette su una stuoia, dove la sua accompagnatrice le indicò. Subito dopo, quest'ultima si defilò, lasciandola sola con l'inquietante anziana.

Ora che il suo sguardo andava abituandosi alla poca luce, l'ereditiera notò che la sua interlocutrice aveva gli occhi di un bianco lattiginoso: probabilmente era cieca.

«Come ti chiami?»

La ragazza ripeté lo stesso nome dato al capovillaggio. Il sorriso dell'anziana si spense all'improvviso, come se qualcuno avesse premuto un interruttore, salvo poi riapparire lentamente, seppure in modo meno pronunciato.
«Puoi dirmi anche il tuo nome vero, se vuoi. Non lo userò per farti del male.»

Amina trattenne il fiato. Come aveva fatto a smascherarla con tale facilità?

Aprì la bocca per replicare, ma non le venne in mente niente di intelligente da dire, quindi finì per richiuderla.

Fu la sconosciuta a parlare ancora. «No? Non fa niente. Io sono Nonna Yara. Custodisco le tradizioni della tribù. Gli dei mi hanno portato via la vista quando ero giovane, ma in cambio mi hanno concesso di vedere ciò che gli altri non possono. Le menzogne, per esempio.» ammiccò verso di lei, lasciandosi sfuggire una risatina. Tacque per un attimo, riprese fiato e proseguì:    «Talvolta, il futuro. Ed è proprio per discutere del tuo futuro, che ti ho chiamata qui.»

Amina non sapeva cosa rispondere, si sentiva sempre più a disagio.

«Il nostro popolo attende da decenni l'eroe che lo guiderà verso un'epoca di libertà e giustizia. Non speravo di vivere abbastanza da assistere al giorno della sua venuta.»

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