Capitolo 6

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Non troppo distante dall'area in cui c'erano le loro stanze, c'era una porta che Vance non aveva notato né quando era arrivato, né quel giorno. Aveva la vista acuta, ma solo quando si fissava su qualcosa, e una porta nascosta nel muro era qualcosa che poteva fregare persino lui.

Damian spinse quella che a tutti gli effetti sembrava una parete e, pochi istanti dopo, furono all'interno. "Benvenuto nel mio regno. Un po' misero, per un drago, ma almeno è mio."

La stanza non era più grossa dell'area relax in cui avevano parlato quella mattina, anzi, era delle stesse esatte dimensioni. Solo che invece che centrini di pizzo, divanetti vintage e pareti dipinte di un elegante color salvia, lì i muri erano ricoperti interamente di sughero, soffitto compreso.

"A mio nonno non piace sentire il casino che faccio quando viene qui" disse Damian, quando vide Vance alzare la testa verso l'alto. "Dice che è un passatempo ridicolo per un drago. Credo che sia solo invidioso perché non ha le dita."

Vance iniziò a capire il motivo. C'era una tastiera collegata a due amplificatori, tre chitarre elettriche sui rispettivi stand e pronte per essere suonate. C'era anche un microfono, un mixer e tutto il set di uno studio di registrazione musicale. Chiaramente, tutti buoni motivi per avere una stanza insonorizzata.

"Sai suonare?" domandò, accarezzando la tastiera. Era scollegata dalla corrente e non produsse alcun suono.

Damian gli rivolse un'occhiata offesa. "Certo che so suonare, che senso avrebbe altrimenti?" Poi assottigliò lo sguardo. "Le pantere suonano?"

"Non tutte, immagino. Questa pantera strimpella la chitarra, qualche volta."

"Potresti suonare per me e io posso cantare."

Poteva essere interessante. Certamente gli sarebbe servito per legare con il draghetto, per entrare in confidenza e guadagnarsi la sua fiducia. Poteva usare la musica, dove le parole non arrivavano, ma Vance non suonava più dal giorno dell'incidente. "Non so se posso farlo."

"Pff. Dai, è come andare in bicicletta, non ci si dimentica come si suona."

"Non è questo." Vance scosse la testa e andò verso le chitarre. Era inutile stare a pensarci, perché i ricordi sarebbero tornati comunque, in un modo o nell'altro. Gli facevano visita tutte le notti e non lo facevano dormire. Prima o dopo era ininfluente e lui era lì per portare a termine un lavoro, non per cincischiare su quello che il suo cervello non voleva dimenticare. "Lascia perdere, non importa."

Damian si limitò a osservarlo di sottecchi, ma per fortuna non gli domandò nulla. Ma vedeva la sua curiosità nello sguardo, riusciva a leggere i segni di una mente curiosa. Sapeva di essere un enigma per Damian tanto quanto quest'ultimo lo era per lui. Voleva chiedergli di più, era del tutto evidente. Probabilmente era spaventato e affascinato allo stesso tempo, cosa che Vance poteva capire: il loro primo incontromnon era stato del tutto rose e fiori, ma nemmeno quel giorno poteva dirsi andato bene.

Sapeva di essere stato troppo aggressivo nei suoi confronti. Si era fatto ingannare dalle prime reazioni del ragazzo, ma gli era bastato l'incontro di quella mattina per capire che quella era tutta una facciata, la punta dell'iceberg di tutta una serie di problemi così stratificati che a Vance venne l'ansia al pensiero di districarli.

Poteva farcela, oppure poteva essere un incidente ferroviario. Stava tutto a lui, a come l'avrebbe gestito.

Così prese la Fender bianca e azzurra e si chinò a cercare il cavo dell'amplificatore. "Non aspettarti grandi cose."

Ma Damian sembrava solo piacevolmente sorpreso dalla piega degli eventi. "Conosci My mother told me?"

"Someday I would buy. Galleys with good oars. Sails to distant shores," canticchiò Vance di rimando, scovando il cavo che cercava. Inserì lo spinotto e accese l'amplificatore collegato. "Allora, canti per me e me solo?"

Go Down in FlamesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora