CAPITOLO CINQUANTAQUATTRO

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Capitolo Cinquantaquattro: il Nord e la Bussola

"Dici che ti ho ucciso- perseguitami, allora! Sii sempre al mio fianco, assumi qualsiasi forma, portami alla follia! Solo non lasciarmi in quest'abisso, nel quale non riesco a trovarti."
-Emily Brönte

Missnöjd e Marthìn erano stati svegliati nel cuore della notte dall'odore acre del fumo e da un paio di mani calde, ruvide, che li scuotevano per le spalle.

"Sveglia, svegliatevi!" La voce dell'invasore era profonda, resa rauca dalle esalazioni, e agitata. Fu quello, in realtà, a svegliare i due coniughi: il panico.

Se ne sentiva odore in tutta la stanza. Si era appiccicato alla carta da parati, di un rosa pastello, e iniziava ad arrampicarsi verso il candelabro, dove le candele tremavano d'eccitazione.

La donna si era ricordata di quando, da ragazzina, aveva dato fuoco a un particolare carretto della frutta, perché la proprietaria le aveva fatto un commento sgradevole. Dopo tutti quegli anni, però, l'offesa era caduta nel dimenticatoio e ora, chissà come mai, Missnöjd si torturava a riguardo. Era stata troppo dura? Era stata cattiva, forse?

Marthìn era stato il primo a saltare in piedi, tirandole il braccio per smuovere in lei qualche reazione. Davanti a loro, il viso pallido di Caspian era ricoperto da una sottile patina di sudore.

"Siamo sotto attacco," aveva ripreso lui, una volta compreso che Missnöjd non si sarebbe mossa a breve, "dobbiamo andarcene subito."

Più lo scoppiettio del fuoco avanzava e più la donna si impietriva, assorta. Il marito, quindi, fu costretto a prendere l'iniziativa: senza dirle una parola le cinse i fianchi, attirandola a se', dopodiché la sollevò dal materasso.

Caspian non rivolse loro altra parola, limitandosi a mostrare la strada da percorrere. Il loro edificio, situato ai piedi del campanile, ora brulicava di fiamme e fumo, cenere e pianti.

Il viso di sua moglie, si rese conto Marthìn, era adombrato dalla fuliggine, ma anche da un'ombra cupa che pesante la costringeva ad affossare il mento tra le clavicole.

Non credeva fosse sotto shock, per il semplice fatto che aveva visto la donna reagire a cose ben peggiori di un incendio doloso. Sua moglie, l'unica donna della sua stirpe a non esser diventata cieca, era forte e impenetrabile. La sua rabbia era l'unica forma di cecità a cui permetteva di annebbiarle i giudizi e la mente.

Se avesse dovuto scegliere un altro Peccato a cui affidarsi, oltre che all'Invidia, avrebbe certamente optato per l'Ira. In quel momento, però, Missnöjd si sentiva triste.

In tutta la sua vita, la donna aveva pianto solo una volta. Avvenne quando Shahrazād aveva all'incirca quattro anni e la maledizione ancora non l'aveva derubata della vista. Giocavano in casa, serene solo perché finalmente insieme da sole. La donna aveva dato alla luce Shahrazād due mesi dopo il suo ventiquattresimo compleanno; era venuta alla luce in una sera d'estate, una di quelle in cui l'afa è tale da togliere il respiro e mozzare il fiato.

Essendo nata e cresciuta sana, Missnöjd si era convinta che la storia della maledizione si fosse fermata a sua madre. Se lei era venuta su così ben in salute, per quanto le condizioni di Città dei Peccatori lo permettessero, allora lo stesso sarebbe capitato alla sua Shari.

Così, mentre la sua bambina correva per casa, la giovane ragazza aveva allargato le braccia e s'era inginocchiata a terra, invitandola ad abbracciarla.

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