CAPITOLO VENTOTTO

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Capitolo ventotto: reincarnazione

"Sento l'abbandono fuori dalla porta. E' un mio difetto, amo di più quando mi sento morta." -cit virginiampoetry on instagram.

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"Muoviti, Styrkur!" Si era sentito urlare lui a qualche metro di distanza. Shahrazād ormai non si disturbava più a parlargli da vicino: l'udito di Styrkur era formidabile, era quindi sicura che l'avrebbe sentita in ogni caso.

Lui aveva roteato gli occhi, ormai abituato alle vivaci lamentele di lei. Riusciva a percepire il suo respiro affannato, le risa leggere ed il respiro strozzato in gola. Giocava a nascondersi eppure a lui pareva che volesse farsi trovare.

Si era concentrato sul respiro di lei, ignorando i rumori circostanti. Gli uccelli, quel giorno, parevano volergli porgere omaggio con una meravigliosa canzone mentre si abbandonavano sul vento, trasportati dalla corrente verso le fronde alte.

La fonte d'acqua, a qualche metro da loro, pareva non produrre un solo rumore per quanto era statica, ferma nella sua immobile bellezza. Dopo, ci avrebbe giurato, si sarebbero tuffati assieme per disfare l'acqua e riempirla di meravigliose increspature.

Non vedeva l'ora.

Le sue gambe si erano mosse quasi da sole, spinte da un istinto animale che aveva presto imparato a riconoscere. L'avrebbe trovata ovunque, Shahrazād era consapevole di non possedere un nascondiglio sicuro e la cosa non le dispiaceva affatto.

Con una leggere agitazione aveva poggiato la schiena contro il tronco ruvido d'un albero, portandosi una mano alle labbra per camuffare i suoi respiri affannati. Era consapevole che questo non gli avrebbe impedito di sentirla, ma valeva la pena provare.

Styrkur si chiedeva come potesse una accidiosa risultare così spensierata e solare, con lui poi! Lui che portava solo sfortuna pareva infondere un certo senso di calma nella giovane amica. Lei gli aveva spiegato per filo e per segno cosa significasse essere una Stanca, raccontandogli delle sue consorelle e dei confratelli della sua struttura.

Vi erano momenti in cui lui pensava potesse davvero essere una peccatrice d'accidia, momenti in cui l'osservava sedersi muta sull'erba, assorta in chissà quali pensieri. In quegli attimi potevano passare ore senza che si muovesse e lui, paziente, aspettava che lo facesse.

Non le dava nessuna colpa: era semplicemente fatta così.

"Trovata." Le aveva bisbigliato all'orecchio, cogliendola di sorpresa. L'aveva vista girarsi di scatto verso di lui con un'espressione quasi vittoriosa in volto. I suoi occhi, quel giorno, erano più pallidi del solido, non si era disturbato a distogliere lo sguardo: a lui piacevano.

Da qualche tempo ormai Shahrazād aveva perso la vista e lui, da buon amico, l'aveva aiutata. Di tanto in tanto, quando gli era possibile, si premurava di andarla a trovare e assieme si esercitavano a studiare il bosco.

"Questa volta ci hai messo ti più a trovarmi," gli aveva rivolto un mezzo sorriso, sedendosi a terra con fare stanco. Styrkur si disse che non era cambiata molto in quei cinque anni: era ancora la bambina malnutrita e stramba che aveva incontrato il giorno in cui era fuggito da Città dei Santi.

"Avete avuto notizie di Seth? Sono passati diversi anni, non mi hai più detto nulla a riguardo." Gli aveva domandato lei, battendo una mano a terra per intimargli di sedersi al suo fianco. Di Styrkur conosceva molto, forse troppo, e nonostante ciò lui non la finiva mai di sorprenderla.

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