CAPITOLO VENTICINQUE

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Capitolo venticinque: fidarsi.

"Questa è la storia di come non smisi mai di correre. È la storia di come, quando i lupi bussarono, li incontrai alla porta e divenni io la bestia." Ashe Vernon, da "Little Red".

Missnöjd aveva una strana sensazione allo stomaco, come se stesse percependo un brutto presagio. Più rimaneva in quella città e più si sentiva a disagio.

Era sicura che qualcuno la osservasse costantemente, nemmeno nell'oscurità della sua stanza riusciva a percepire uno stato di tranquillità.

No, a Missnöjd pareva una calma apparente, finta, della quale il marito non si accorgeva. O magari, si era detta lei, non voleva accorgersene.

Tutto quello che Marthìn voleva era ritrovare loro figlia, e ricevendo aiuto da quella gente si era ritrovato a dovergli molto.

Passava intere giornate con Cameron a discutere di strategie, spesso gli domandava di Shahrazād, gli chiedeva come fosse e che legame avessero e Marthìn era più che felice di rispondere.

Per anni era stato zittito dalla moglie, ed ora finalmente poteva parlare a ruota libera di ogni cosa.
Avevano discusso del comizio al quale lui e la moglie si erano recati, raccontando a Cameron della preoccupante situazione nella quale i Quattro stavano mettendo tutte le città del mondo.

Entrambi si chiedevano quante città rimanessero e quanti morti vi erano stati, ma quantificare era difficile.

Missnöjd si era recata fuori città, nel luogo in cui aveva allestito un piccolo altare per la dea Wyulma. Aveva posizionato tre assi di legno una sopra l'altra, cospargendole di fiori e foglie secche.

C'erano inoltre tranci di pane, di formaggio e un calice di vino: le offerte. Con soddisfazione aveva notato che il calice era quasi vuoto, significava quindi che la dea aveva gradito la sua offerta.

Si era inginocchiata sedendosi sui talloni e posizionando le mani sopra le assi, aveva chinato la testa e preso due profondi respiri, iniziando la sua preghiera.

"Proteggici da ciò che il futuro ci riserva e perdona le nostre offese nei tuoi riguardi, proteggi mia figlia e mio marito e difendi noi, i tuoi ultimi fedeli, dal male che si annida in questa città."

Wyulma sedeva composta sull'altare, erano due giorni che si trovava lì a bere vino e a mangiare.
Ah, gli umani! Che esseri strani e volubili.

Si era piegata in avanti, seduta tra le braccia di Missnöjd aveva iniziato a far dondolare le gambe. Era sicuramente una fedele modello, non poteva lamentarsi.

La dea aveva puntato lo sguardo verso Città dei Santi, arricciando il naso. Odiava quella cittadina, la detestava con tutta se stessa.

Aveva quindi accarezzato la testa della donna, poggiando il mento contro il palmo della mano. Missnöjd l'aveva avvertita e nonostante non potesse vederla era sicura fosse lì.

Wyulma si era colpita la gola con due dita, "Avhöra*," aveva detto la dea aspettando che l'incantesimo facesse effetto

Comunicare con gli umani era difficile per lei che, restia, non aveva mai amato il contatto. Ma Missnöjd e il marito erano gli unici fedeli che le rimanevano, gli doveva almeno qualche favore.

"Andate via il prima possibile, questo posto non è sicuro."

Missnöjd si era sentita percorrere da un forte brivido di freddo lungo tutto il corpo: aveva ragione, le sue sensazioni si erano rivelate esatte.

Gli occhi le si erano spalancati per il terrore che provava mentre domandava a se stessa cosa sarebbe successo. Cosa stavano tramando gli abitanti di Città dei Santi?

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