CAPITOLO VENTITRE

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Capitolo Ventitré:  Un gatto arrogante.

"Che cosa mi manca? Mi mancherebbe tanto di morire, perché io l'inferno della vita me lo sono goduto tutto."- Alda Merini.


"Dovresti essermi grato per averti salvato, Gabriele. Grazie a me non sei più recluso nel tuo mostruoso essere!"

Gabriele aveva alzato lo sguardo vitreo, sofferente, verso la voce alla quale ancora non aveva associato un volto.

Dentro di lui, Seth strillava e piangeva implorando d'esser liberato. L'uomo incappucciato si era piegato su di lui, dandogli una leggera pacca sulla spalla.

Aveva strattonato le catene che tenevano Gabriele immobile, abbassandogli la testa.

"Sei il servo di Dio adesso, non dimenticarlo."
Aveva notato il piccolo ghigno sul volto dell'uomo, ma senza vedere altro.
La presa sulle catene era velocemente sparita, lasciando il corpo di Gabriele a penzolare nel nulla.

Pareva una marionetta abbandonata dal giostraio.
La stanza in cui si trovava era buia, il pavimento in mattoni neri era sporco, completamente lurido, ricoperto da uno spesso strato di sangue, urina e polvere.

L'odore lo nauseava ma non aveva il coraggio di dire nulla.
"Continuate," aveva sentito dire dall'uomo. Capiva il significato di quelle parole, e la cosa lo terrorizzava.

Sapeva cosa stava per accadergli, il suo corpo si era mosso al ricordo del dolore della precedente sessione. Da quando era stato creato Gabriele, era rinchiuso in quella stanza, vittima di atroci esperimenti e punizioni.

"Fin quando non mi ubbidirai completamente, questa sarà la tua casa," la voce dell'uomo si era fatta dolce, come se volesse implicare che gli dispiaceva, che era colpa di Gabriele che non voleva sottomettersi.

In risposta, l'uomo aveva ricevuto un ringhio soffocato. Dalla porta erano quindi sbucati due uomini, sempre gli stessi, impugnando una frusta ed una siringa.

La schiena gli doleva, se la sentiva ardere mentre veniva colpito ancora e ancora. La pelle si dilaniava sotto di essa, il sangue gli macchiava ormai quasi tutto il corpo, seccandosi sino al punto in cui pareva essere quasi una seconda pelle per lui.

"Quando mi ubbidirai, al posto di queste cicatrici cresceranno delle meravigliose ali." L'uomo era scoppiato a ridere, schernendolo.

Poi, il buio.

Gabriele si era svegliato di soprassalto, sentendo il cuore pompare velocemente. Aveva fatto saettare gli occhi da una parte all'altra della radura mettendosi velocemente a sedere.

Aveva sognato ancora il giorno della sua nascita. Ormai era diventata quasi una routine.

Si era passato una mano sul volto stanco, sospirando.
Seth dormiva, o forse non aveva voglia di parlare con lui quel giorno. Si sentiva solo, maledettamente solo. E nonostante Seth fosse una presenza viva solo nella sua testa, gli teneva compagnia.

Sapeva che probabilmente lo detestava, dopotutto gli aveva rubato il corpo, ma dall'altra parte era consapevole che Seth non lo biasimasse totalmente.

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