CAPITOLO TRENTUNO

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Capitolo trentuno:  verità svelate

"Se tutto il resto morisse, tranne lui, continuerei a esistere, e se tutto il resto rimanesse, e lui fosse annientato, l'universo mi sarebbe estraneo. Non ne farei più parte."- Cime Tempestose.

"Mangialo, mostro!" Tommaso aveva rafforzato la presa sui capelli di Styrkur, strattonandolo in avanti fino a fargli perdere l'equilibrio.

Il bambino era quindi caduto con le ginocchia a terra, contro i sassolini che adornavano il giardino di Città dei Santi.

Non riusciva ad alzarsi, a muoversi o a ribellarsi.
Tommaso aveva sorriso maniacalmente ai suoi tre amici che, con espressioni esitanti, osservavano la scena.

"Tom, non penso sia una buona idea. Se tuo padre ci vedesse..." aveva iniziato il bambino, Pietro, distogliendo lo sguardo.

Quella scena lo disgustava, quanti anni aveva Styrkur? Dieci, forse, come poteva Tommaso trattarlo a quel modo?

Si era morso l'interno guancia, impedendo a se stesso di dire una parola di troppo. Sapeva benissimo che andare contro Tommaso equivaleva a ricevere una severe punizione, dopotutto suo padre comandava Città dei Santi.

"Mio padre sarebbe fiero di me, dopotutto sto solo punendo il figlio del diavolo. E poi questo mostro non si sta lamentando, non è così?" Gli aveva nuovamente tirato i capelli, costringendolo ad alzare il viso per guardarlo.

"Sa di meritarselo." Aveva concluso Tommaso mentre regalava un altro sorriso a Pietro e agli altri due bambini.

Duecento sei, duecento sette, duecento otto.

Styrkur contava, a mente, i secondi che scivolavano tra le sue dita.
Nella sua testa parevano numeri enormi, lontanissimi, eppure erano insignificanti.

Era sicuro che se avesse continuato a contare, che se si fosse concentrato di più, sarebbe stato in grado di alienarsi dal mondo, dal dolore allo scalpo e alle ginocchia.

Il dolore non lo toccava, non doveva lasciare che
lo raggiungesse.

Duecento nove, duecento dieci, duecento undici.

Niente aveva valore se non quei numeri ripetuti nella sua testa.

"Cos'è, non vuoi mangiarlo?" Tommaso aveva indicato il fango sparso a terra, infastidito. Voleva che Styrkur gli rispondesse, che si rendesse conto d'essergli sottomesso e di non avere chance contro di lui.

Doveva farglielo capire, a quel mostro, che era lui a comandare.

Ma Styrkur non rispondeva, forse nemmeno lo sentiva.
Le sue orecchie erano sorde alle parole del ragazzino, captava pezzi stonati di frasi che non avevano un senso, nulla di più.

Perché? S'era chiesto Tommaso.
Perché non piange?

Voleva che soffrisse, che si sentisse umiliato e schiacciato. Da quando Styrkur era stato preso a Città dei Santi Cameron e sua madre non avevano avuti occhi che per lui.

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