okay

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"It's okay,'Cause someday I'll be with you"Dylan la bacia, sono in una discoteca, è ubriaco, lei è esattamente il suo tipo, non sa nemmeno cosa sta facendo.La bacia senza la passione e senza l'ardore con cui bacia Sun, ma la bacia, la fa salire in macchina, la porta a casa sua, nel suo letto.Sun lo sa. Lo sa perché gliel'ha detto, Dylan, che sarebbe andato in discoteca, e lei non è stupida, hanno appena litigato più che pesantemente, era ovvio ai suoi occhi che sarebbe successo.Dylan è ubriaco. Dylan le manda una foto di loro due ancora sdraiati a letto, che si riprendono, Sun non sa se piangere o ridere: piangere perché fa dannatamente male, ridere perché ci aveva creduto davvero, di essere importante per Dylan.Ci aveva creduto, ci era cascata, di nuovo, in quella stupida trappola in cui cade tutte le volte: la fiducia. Si è fidata, ha sbagliato, lo sa, gli ha raccontato ogni cosa, ha riempito più di un quaderno con le lettere per lui. Dylan sa tutto di lei, ha persino toccato quella cicatrice.Quella che l'ha portata in ospedale e poi in comunità, lui l'ha toccata, l'ha accarezzata, ha disegnato le stelline intorno ad essa.E poi l'ha tradita.Doveva aspettarselo, lo sa, ma aveva deciso che sarebbe stata la volta giusta per darsi una chance. Ad entrambi. E lei è bella, non sa come si chiami, ma sa che è bella, bellissima, più di quanto non possa mai essere lei.Sun esce di casa, sa che è tardi, non le interessa.Si infila la giacca sopra il top troppo largo e le banconote in tasca, poi escce.Le vie sfrecciano davanti ai suoi occhi mentre corre e neanche se ne accorge, fin quando non lo nota.E' arrivata, ed è aperto, grazie al cielo.Entra. Tira fuori da una tasca un foglietto, quando si trova davanti all'uomo, insieme alle banconote e alla carta d'identità. C'è tracciato un 8, su quel foglio, un pezzo di carta strappato, è appena leggibile.- Dove? -Domanda l'uomo.Non è la prima volta che si vedono, sa cosa deve fare e sa che non deve chiedere, sarà lei a parlare. - Sul polso, qua -Indica la ragazza, il volto rigato dalle lacrime e I capelli neri attaccati alla pelle.Si sdraia sul lettino, espone il polso, aspetta che Daniel si sieda e prenda la macchinetta. - Avevamo io otto e lui dieci anni.Ci siamo conosciuti perché sua mamma era la mia baby-sitter, mia e dei miei fratelli.E un giorno è venuto in maneggio. Credo sia stato una specie di colpo di fulmine, perché ho fatto lezione meglio del solito solo per impressionarlo, e poi, tornata in scuderia, per dissellare la mia pony ho iniziato a fissarlo.Lui si era avvicinato, guardandomi, e il mio corpo aveva agito senza pensare, minimamente: avevo tirato sù la sella senza aver slacciato prima il sottopancia. -Fa una pausa, tira sù col naso, il tono è piatto.- Aveva riso e con la sua solita aria di superiorità mi aveva detto: "devi slacciare il sottopancia", come se non lo sapessi da me.Ci vedevamo quasi ogni fine settimana.Ero piccola, ma capivo già allora che non mi fosse indifferente.L'avevo detto a mio fratello, il più grande, che a sua volta l'aveva detto a lui.Ma il nostro rapporto non era cambiato: era rimasto lo stesso di sempre, anzi, forse era migliorato. Eravamo più affiatati, più complici, battutine e obbligo e verità compresi.Ci giocavamo spesso, ad obbligo o verità.Uno di quelli stupidissimi giochi che trovi online che ti obbligano a baciare l'altro o spogliarti, e a cui noi ci tiravamo sempre indietro al momento buono, forse per paura.Non so nemmeno di cosa, se devo essere sincera, ma ci tiravamo sempre indietro un secondo prima che potesse accadere, nonostante credo lo volessimo entrambi.Non ne sono più così sicura.La sera, se eravamo a casa, aspettavamo che I miei fratelli si addormentassero a suon di cartoni animati e poi mettevamo sù 'I film per I grandi'."Sex and the city", di solito.Ci mettevamo vicini sul divano su cui dormiva, perché il suo letto lo lasciava sempre a me. -Il tono si incrina e una lacrima le solca la guancia.- La sua mano spesso si fermava sulla mia gamba e poi diceva sempre le solite due parole: "Devi provare".Poi mi guardava negli occhi, fisso, e continuava: "Ma non con me, ti farei male".Solo una volta, ho avuto il coraggio di rispondergli."E chi ti dice che io non voglia farmene?"Aveva riso, ma non aveva fatto nulla, o almeno, non che io ricordi, ma ricordo davvero poco.Quando invece eravamo fuori, solitamente, eravamo nel maneggio di suo zio.Mi ricordo una sera in particolare: era ferragosto, dovevamo preparare il Mojito per I grandi.Mi aveva chiesto se lo accompagnavo a prendere la menta in bici, era una cosa che facevamo spesso, andare in bici in due, mi portava in giro, andavamo a prendere la colazione per tutti con appena tre ore di sonno addosso.Quella sera, mentre suo zio grigliava la carne, noi eravamo andati fin dall'altra parte del maneggio per prendere la menta sulla sua bici tutta scassata, lui pedalava, io mi attaccavo alle sue spalle, faceva lo scemo, impennava, sterzava, solo per farmi spaventare.Una volta tornati, mentre eravamo ancora in bici, mia madre ci aveva fatto una foto.Ce l'ho ancora tra i preferiti.Poi ne aveva scattata un'altra mentre lo preparavamo, il mojito, quella l'ho persa.A volte vorrei solo tornare lì, quando tutto andava bene.Più tardi ci eravamo andati a rinchiudere nella club house, lui con una birra in mano, io seduta sul tavolo.Si era avvicinato, talmente tanto che credevo che sarebbbe finalmente successo, dopo tre anni.Invece era entrata mia madre, e ci eravamo allontanati velocemente, troppo, e lui aveva cercato di nascondere la sua birra, fallendo miseramente.Ci avevo sperato, sai? Forse non ho mai smesso di farlo, ed è stato quello che mi ha fottuta. -Daniel ha smesso di un pezzo di tatuarla, la ascolta e basta.

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