21 CAPITOLO

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SCARLETT'S POV

Rimasi lì seduta sul letto per una quantità di tempo indecifrabile, a rimuginare su quanto avevo scoperto.

Mio padre non si chiamava Louis Red, lui non era un babbano, non era nulla che credevo fino solo a qualche ora prima.

Le ore passarono ma io rimasi chiusa in camera a leggere e rileggere la lettera, senza alcuna voglia di uscire.

Improvvisamente sentii bussare, Tom aprì la porta e si presentò con in mano una bottiglietta d'acqua e un piccolo libricino.

Lo guardai accigliata non avendo capito cosa volesse fare.

«Sei rimasta chiusa qui dentro tutto il giorno, pensavo avessi sete».

Mi disse semplicemente passandomi la bottiglietta di acqua.

Effettivamente aveva ragione, stavo morendo di sete, ma pur di rimanere concentrata mi ero perfino dimenticata di bere. Quindi presi la bottiglietta e la bevvi in un unico sorso.

Lo sentii ridere, Tom Riddle stava ridendo. E la sua era la risata più bella e contagiosa che avessi mai sentito in vita mia.

Mi girai a fissarlo, e non capendo per cosa stesse ridendo, assunsi un'espressione alquanto confusa.

La cosa sembrò divertirlo perchè la sua risata si fece più rumorosa.

«Si può sapere che cosa ti fa tanto ridere?»

«No nulla, è solo che a volte sei davvero buffa».

La mia confusione si trasformò in antipatia, mi dava sui nervi quando faceva così.

«Se sei venuto qui solo per dirmi questo puoi benissimo andartene».

Doveva aver capito che non stessi scherzando, perchè smise immediatamente.

«Veramente ero venuto per portarti questo»,

disse passandomi il libretto che solo in quel momento capii essere il fascicolo di Astor Rowan.

«Lo avevo preso dal palazzo ma non ero ancora riuscito a mostrartelo, credevo che avremmo potuto sfogliarlo insieme prima che si faccia ora di andare a dormire ».

Non era decisamente il momento migliore, ma probabilmente mi avrebbe fatto bene staccare i pensieri da mio padre, così acconsentii e iniziammo a leggerlo.

Non c'erano molte informazioni interessanti: il suo nome e cognome, i suo studi ad Hogwarts come serpeverde, la collana che ormai tutti conoscevamo; ma la vera cosa che mi colpì fu la sua foto, aveva appena 20 anni quando gli era stata scattata ma il suo viso mi era familiare, anche se non ero in grado di ricondurlo a nessuno che conoscessi.

Molto probabilmente assomigliava a qualcuno che avevo sognato in precedenza tra la miriade dei miei incubi.

«Tom io non trovo nulla che ci possa essere utile»

«Credo che sia troppo vecchio per fornirci informazioni importanti. Ad ogni modo, si è fatto tardi e mi è venuta una certa fame, andiamo a mangiare qualcosa».

«No grazie, declino l'offerta, non ho per nulla fame».

Tom si accigliò e mi fissò con la faccia di uno che stava per perdere la pazienza.

«Non era una domanda Scarlett. Finirai per morire di fame se rimani sempre chiusa qui».

Ci pensai un attimo, ma la mia voglia di uscire era pari a zero, quindi declinai nuovamente.

Tom sbuffò rassegnato, ma alla fine capì che non era il momento di discutere, almeno non dopo quello che avevamo scoperto.

«E va bene, non verrai a mangiare con me. In questo caso però voglio che tu indossi questo»

Mi disse passandomi un bracciale completamente nero, con una piccola pietra dello stesso colore, che sembrava essere vecchio anni luce.

Non ci stavo capendo più nulla, e lui dovette intuirlo perchè inizio a spiegarsi:

«Ricordi quando eravamo andati dal mio vecchio amico a Trency? Bene, oltre alla pozione che avevi visto lui mi aveva anche regalato due di questi» disse indicando il mio bracciale e un altro identico che teneva in mano,

«Sono dei bracciali stregati, con un incantesimo sono stati "collegati", quindi se mai dovessi avere bisogno basta che premi due volte la piccola pietra e io lo saprò».

Rimasi basita dalla situazione, allora il caro e vecchio Tom ci teneva veramente a me.

Così rimasi a casa da sola, bloccata in un vortice di pensieri e dubbi che non mi lasciavano via di scampo; e se per qualche minuto riuscivo ad estraniarmi e a pensare a qualcos'altro, immediatamente quelle maledette parole scritte sulla lettera facevano capolino nella mia mente, impedendomi di fuggire.

E poi cosa c'era scritto nei pezzettini di foglio mancanti? L'ipotesi più verosimile al momento era che ci fossero scritti il vero nome e cognome di mio padre, e di conseguenza il mio.

Altri venti minuti si aggiunsero alla innumerevole quantità che avevo passato tra le quattro mura della mia stanza.

Tom non era ancora tornato e io mi decisi di controllare se ci fossero altre cose interessanti in quella casa, che avrebbero potuto mettere in discussione di nuovo tutto ciò che sapevo.

Scesi in cucina e sul tavolo trovai un fascicolo, quello di Astor Rowan, probabilmente Tom lo aveva lasciato lì prima di uscire.

Mi misi a rileggerlo con più attenzione, ma anche questa volta non ci trovai granché, siccome era stato stampato prima che lui diventasse "l'ombra di sangue".

Poi notai un bigliettino attaccato al frigo, mi avvicinai e quando lo lessi mi bloccai sul posto perdendo la capacità di respirare:

"Scarlett non ti preoccupare, se vedi la casa distrutta è solo perchè io e tuo padre abbiamo avuto una brutta litigata. Ora però mi devi fare un favore: guarda sotto al lavandino."

Doveva essere da parte di mia madre, aspettai un attimo e mi avviai verso l'altra parte della stanza dove si trovava il lavandino, aprii l'anta e trovai un altro biglietto:

"Bravissima, ora prendi questa chiave e apri lo sgabuzzino in fondo a destra del salotto".

Presi la chiave che trovai sotto al bigliettino, e sempre più confusa passai per il salotto per raggiungere il piccolo stanzino, dove non mi era mai stato permesso entrare.

Attaccato sulla porta trovai un ultimo biglietto:

"Mamma arriverà tra poco".

Mi paralizzai a quelle parole.

Ero indecisa se aprire lo stanzino o meno, ma alla fine la curiosità ebbe la meglio.

Infilai la chiave nella toppa, la girai, e la porta si aprì cigolando leggermente.

Me ne pentii, me ne pentii immediatamente di aver dato ascolto alla curiosità piuttosto che alla ragione; ad aspettarmi dall'altro lato della stanza c'era un serpente più alto di me, che senza alcun dubbio sarebbe riuscito a mangiarmi viva senza nemmeno darmi il tempo di gridare.

Mi saltò addosso, ma invece di uccidermi si limitò a mordermi una gamba per poi sparire nel nulla.

Il dolore lancinante e la forza con il quale mi aveva attaccato mi fecero barcollare e io caddi per terra sbattendo forte la testa.

Mi pulsavano le tempie, la gamba bruciava, e la visione lentamente veniva a mancare.

Prima di chiudere definitivamente le palpebre, l'ultima cosa che vidi fu una figura apparire alla porta di casa.

Why Me? |Tom RiddleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora