"Allontanarti per urlare per sempre in testa il tuo nome"

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Faye tornò da lavoro verso ora di cena, ma io, di cenare, sapete quanto ne avessi voglia!
L'ansia mi stava consumando dall'interno. Il mio stomaco vorticava su se stesso.
L'ho baciata e mi era piaciuto.
Sono una stupida! Faye... lei mi ama. E io... pure. Chi ha deciso che "chi ama non tradisce", non aveva pensato a quali tentazioni ci fossero state al mondo.
Ti stai solo giustificando, Francesca, ripeteva la Dea interiore.
Zitta, tu, zitta! Non potresti nemmeno definirti tale, tu che sei me! Le risposi a mente.
Siamo fatti di carne e sentimenti!
Mi picchiettavo sulla testa.
Faye stava tornando e io non avrei potuto riceverla a braccia aperte.
Cosa avevo combinato?!
Cercavo ogni modo per abbandonare quel senso di colpa, invano.
Sentì bussare alla porta ma ci misi pochi minuti per aprirla, nel caso avesse pensato che mi trovassi ai piedi di essa.
"Faye, sei tornata!", spero non si fosse accorta del mio viso tormentato, allora l'abbracciai, nascondendolo nell'incavo del suo collo.
"Hey, piccola, mi sei mancata anche tu!"
Mi distaccai e pregai. Se mai se ne fosse accorta, avrei detto che mi mancava la mia famiglia.
NEGARE! NEGARE! NEGARE!
Per ora era tutto ciò che mi urlava il cervello, un'attimo prima di spegnersi, perché avevo mandato la Dea interiore a quel paese, se non avesse voluto più collaborare.
Non me lo chiese, ma Faye non era stupida.
"Hai cenato?"
"Si, scusa se mi sono fermata a un baracchino, avevo lo stomaco che mi girava, scusami"
Sapessi il mio!
"Tranquilla, non importa."
Ma non le dissi che non avevo messo niente sotto i denti.
La mia relazione sarebbe cresciuta sulle basi di una menzogna.
Quando, quella notte, Faye si era addormentata, sgattaiolai in giardino, sperando che Ferin mi notasse.
Non lo fece. Ma le luci erano accese.
Se fossi uscita di casa, Faye avrebbe sentito la porta chiudersi e non mi sembrava il caso. Presi una pietruzza dal ghiaino e la lanciai, sperando di non provocare alcun danno alla portafinestra del suo balcone.
Dopo il terzo tentativo, di cui, la prima pietruzza dirottò in ben altra direzione, il balcone si aprì.
Ne uscì Ferin avvolta in una vestaglia.
Ci guardammo per qualche minuto e poi mi rivolse un sorriso carico di tenerezza. Contraccambiai, ma nessuno disse nulla. Le feci segno con le dita che avremmo parlato l'indomani pomeriggio, sperando mi avesse letto il labiale. E, con un sorriso, sparì dietro la porta scorrevole, lasciandomi sola con i miei tormenti. L'aria di quella sera era fresca. Si era alzato un venticello abbastanza freddo che mi scompigliava i capelli, mi pungeva la pelle. Un brivido mi pervase. Ma non era per il vento.

Pensavo fosse lei, invece ... era l'altra Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora