Capitolo uno

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Oggi è il mio primo giorno di lavoro come tata della figlia del signor Volkov, e non posso negare che l'ansia mi attanagli. In effetti, mi sento terrorizzata all'idea che la piccola possa farmi del male, ma ho bisogno di questo lavoro. Ho bisogno di soldi per potermi permettere una casa, per andarmene via da quel manicomio che chiamo casa. La mia vita fino ad ora è stata un susseguirsi di sfide e disillusioni. Crescere in una famiglia disfunzionale ha lasciato cicatrici, e ora, all'età di venticinque anni, mi ritrovo a cercare un modo per ricostruire la mia vita e trovare la mia indipendenza.

Il signor Volkov è un uomo spietato, noto per le sue azioni senza pietà; si dice che abbia commesso omicidi a sangue freddo, come se stesse semplicemente passeggiando nel parco. Nonostante tutto ciò, c'è un'aria di fascino intorno a lui che attira molte persone. È un uomo di potere, e il potere ha il suo fascino. Ma io ho paura. Ho paura che possa decidere di usare la sua influenza contro di me, che possa farmi del male se non mi comporto come vuole. Ha una figlia, ma su di lei si sa poco. La sua vita è avvolta nel mistero, proprio come quella del padre. Nessuno osa chiedere informazioni; il signor Volkov è un uomo di poche parole e molti temono di avvicinarsi a lui.

Mentre mi dirigo verso casa sua, sento il mio cuore battere all'impazzata. Corro per le strade, già in ritardo e con il cuore in gola. So che arriverò tardi e temo che questo possa influire sul mio impiego, ma non posso fare altro. Ho indossato un vestitino leggero bianco, con la schiena scoperta e uno spacco laterale, cercando di apparire professionale ma al contempo accogliente. Voglio che la bambina si senta al sicuro con me, ma i miei nervi sono a fior di pelle.

Arrivata davanti a un imponente cancello di ferro battuto nero, mi fermo per un momento a riprendere fiato. Il citofono è lì, e con mani tremanti premo il pulsante.

"Chi è?" chiede una voce femminile, che mi sembra di una donna anziana.

"Ehm, sono la nuova tata."

Dopo un breve momento di attesa, il cancello si apre e mi trovo davanti a una villa enorme, un palazzo imponente circondato da guardie che mi scrutano con curiosità. Passo in mezzo a loro, il mio cuore batte all'impazzata per l'imbarazzo e la tensione, fino a giungere alla porta d'ingresso. Busso e mi apre una signora di una certa età, ma non sembra avere più di settant'anni. Ha un viso gentile, ma c'è qualcosa nel suo sguardo che tradisce una vita di esperienze difficili.

"Salve, io sarei qui per..." inizio a dire, ma vengo interrotta da una voce dura e autoritaria.

"Tu, vieni subito nel mio ufficio."

Alzo lo sguardo e vedo il signor Volkov. Il suo aspetto è imponente e il suo sguardo incute timore. Ho un attimo di panico: temo che mi possa licenziare anche prima di essere assunta ufficialmente.

Salgo le scale in silenzio, le gambe tremanti, fino a fermarmi davanti a una porta. Bussando, sento un "avanti" e, con un misto di esitazione e paura, entro nella stanza.

"Sei in ritardo," dice, guardandomi con un'espressione che mi fa gelare il sangue.

"Io... bhe, sì, ecco, sono arrivata a piedi," confesso, le guance che bruciano per la vergogna. Il vestitino leggero si agita mentre mi muovo, e mi sento vulnerabile e inadeguata.

Mi scruta da capo a piedi, facendo un sorrisetto che non promette nulla di buono. Non voglio deluderlo, ma ho paura di come possa reagire.

"La bambina è nella sua stanza. Ti accompagna James, la guardia," dice, indicando un uomo biondo che ha all'incirca la sua età. Non è muscoloso come il signor Volkov, ma comunque imponente.

Lo seguo lungo il corridoio, i miei pensieri confusi mentre cerco di ricordare tutto ciò che ho letto sui bambini e su come prendersene cura. A ogni passo, la tensione cresce. Arriviamo a una porta, che si apre rivelando una cameretta decorata in bianco e rosa, piena di giocattoli e colori tenui. La stanza ha un'aria serena, ma il pensiero che ci possa essere un uomo così temuto nelle vicinanze mi provoca un brivido lungo la schiena.

Mi avvicino alla culla e vedo una bambina che mi guarda con curiosità. I suoi grandi occhi azzurri brillano di una luce innocente, e i suoi capelli sono simili a quelli del padre. Mi sorride e agita le braccia come per invitarmi a prenderla in braccio. Non riesco a resistere, così la sollevo delicatamente e lei si aggrappa al mio collo, emettendo dei versi adorabili che mi fanno sorridere.

Mentre giochiamo, mi rendo conto di quanto somigli al padre. C'è qualcosa di inquietante, però: i suoi occhi brillano di gioia e innocenza, mentre quelli del signor Volkov, che ho intravisto una sola volta, sembravano privi di vita, come se avesse vissuto troppi traumi.

La piccola inizia a giocherellare con i miei capelli, e non riesco a trattenere una risata. Sento una voce profonda e autoritaria dietro di me. Mi giro e vedo il signor Volkov appoggiato sulla porta, il suo sguardo è così serio che mi fa tremare.

"Me ne sto andando," dice, avvicinandosi. Si china e bacia la fronte della sua bambina, mentre io lo guardo, un misto di paura e curiosità nel cuore. Poi si gira verso di me, ma non dice nulla, e si allontana, lasciandoci "sole" nella stanza, anche se so che ci sono guardie pronte a intervenire in qualsiasi momento.

La sensazione di essere osservata è opprimente. Mi sento vulnerabile, quasi come se non potessi respirare, eppure la dolcezza della bambina è rassicurante. Spero di riuscire a costruire un legame con lei, mentre mi sento costantemente sotto il giudizio del signor Volkov e dei suoi uomini.

La piccola inizia a piangere, e il mio cuore si stringe. Non posso permettere che succeda. Prendo un peluche dalla culla e glielo porgo. "Guarda, che carino!" le dico con un sorriso, e miracolosamente il suo pianto si ferma.

Sento un senso di sollievo: sono riuscita a calmarla. Passo del tempo a giocare con lei, a cantarle canzoni e a raccontarle storie inventate. Lei sembra apprezzare e io inizio a sentirmi più a mio agio, come se stessimo costruendo una connessione.

Il tempo passa, e mentre la bambina si stanca e comincia a sbadigliare, la poso delicatamente nella culla. La guardo mentre si addormenta, il viso sereno, e sento un calore nel cuore. C'è qualcosa di speciale in quel momento, una sensazione che mi fa capire che, nonostante tutto, questa potrebbe essere una nuova opportunità per me.

Mi alzo in punta di piedi per uscire dalla stanza, ma mentre mi avvicino alla porta, sento una mano pesante sulla mia spalla. Mi giro e vedo James, la guardia. "Il signor Volkov vuole vederti di nuovo," dice, la sua voce seria.

Il mio stomaco si attorciglia. Cosa avrà da dire? Mi segue lungo il corridoio, e mentre camminiamo, non posso fare a meno di notare quanto la villa sia imponente. I corridoi sono adornati con quadri di paesaggi, opere d'arte costose, e la luce che filtra dalle finestre crea un'atmosfera quasi surreale. Sembra un luogo dove la bellezza e il terrore coesistono.

Arriviamo alla porta dell'ufficio del signor Volkov e James bussa prima di entrare. "La tata," annuncia, e io sento il battito del mio cuore accelerare.

"Entra," ordina il signor Volkov, e io faccio un passo avanti, trattenendo il respiro.

"Signor Volkov," dico, cercando di mantenere la mia voce ferma.

"Ho visto come interagisci con mia figlia"

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