Capitolo 8: Prima luce

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26 ottobre 1999 - Martedì primo pomeriggio

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Theodore Nott aveva pregato di essere smistato in Serpeverde.
Non che la casa gli piacesse particolarmente, né che ne sapesse molto. Il cappello si era posato sulla sua testa, oscurandogli per metà la vista, e gli aveva sussurrato all'orecchio come la carezza di un'amante: "hmmm, cosa abbiamo qui". Un Nott. Sei un corvonero in tutto e per tutto, ragazzo mio, è facile dirlo ma... hmmm... i Nott sono sempre Serpeverde".
E Theodore Nott, col vecchio cappello ammuffito in testa, si rese conto che se fosse tornato a casa come Corvonero durante le vacanze di Natale, avrebbe firmato la sua stessa condanna a morte. Suo padre... lo avrebbe fatto... beh.
I Nott sono sempre stati Serpeverde.
Così Theo aveva implorato, il Cappello Parlante lo aveva assecondato e un Theodore Nott con la cravatta verde aveva seppellito quel ricordo così profondamente che la legilimanzia non avrebbe mai potuto trovarlo. A volte, nel cuore della notte, al sicuro nel suo letto a Hogwarts, ci pensava. Pensava a cosa avrebbe significato rifugiarsi a Corvonero.
In realtà gli piaceva stare in Serpeverde, non era la casa da cui voleva fuggire. I suoi compagni di casa erano intelligenti e calcolatori, e Theo era intelligente. Stava ai loro giochi con facilità e non batteva ciglio.
Ma... si chiedeva come sarebbe stato essere definito "intelligente" invece che "connivente". Si chiedeva se forse avrebbe potuto sfuggire alla morsa paterna anni prima e perdersi una vita di dolore.
Non raccontò a nessuno le parole del Cappello Parlante, nemmeno dopo che suo padre era morto e Theo avrebbe potuto dire qualsiasi cosa a chiunque senza conseguenze. Per l'intero mondo magico, Theodore Nott era uguale a tutti gli altri Nott che erano nati: un Serpeverde.
Ecco perché era quasi caduto sotto shock quando, al primo incontro con Luna Lovegood, lei lo aveva fissato con i suoi occhi azzurri troppo grandi, aveva inclinato la testa e si era accigliata.
"Avresti dovuto essere in Corvonero", aveva detto Luna, "con me. È facile da capire: come ha fatto il cappello a non accorgersene?"
Theo aveva balbettato una spiegazione, una copertura, qualsiasi cosa per far sì che la strega smettesse di analizzarlo, quando lo aveva colpito come un fulmine. Luna Lovegood non era pazza: vedeva tutto. Il suo primo istinto, alle sue parole, era stato quello di stroncarla, sminuire la sua intelligenza, darle della pazza. Non poteva essere il primo.
Quindi, invece di fare una di queste cose, Theo inspirò e annuì. "Non è successo".
L'angolo della bocca di lei si incurvò, un sorriso segreto che Theo non aveva mai visto prima, e lei non chiese altro sull'argomento.
Quello scambio gli aveva insegnato due cose molto importanti su Luna Lovegood. Innanzitutto, era intelligente, sicuramente più intelligente di lui, e forse, cosa più rara di tutte, era gentile.
Theo aveva trascorso i giorni successivi a mettere insieme tutto ciò che sapeva di Luna, distraendosi da ogni compito che si era prefissato, ed è proprio qui che si ritrova il martedì pomeriggio, a fissare la libreria da dietro la scrivania invece di lavorare ai conti dei Nott.
Un brusco crack lo spaventa e rivela una piccola elfa domestica dagli occhi sorprendentemente gialli, che si torce nervosamente le mani rugose.
"Ciao, Thelma", saluta Theo, "cosa c'è che non va?"
"Mi dispiace disturbarla, Padron Nott", dice Thelma, "ma Lady Lovegood è in attesa fuori dall'ingresso principale".
Theo si alza bruscamente, smaterializzandosi verso la porta d'ingresso senza avvertire Thelma. Per un attimo si sente in colpa, ma il senso di colpa si dissolve quando sente bussare delicatamente alla porta d'ingresso.
Si precipita ad aprire la grande porta, facendo entrare il sole e la fresca aria autunnale. Luna Lovegood è in piedi sul gradino di casa sua, con i capelli legati in una confusione di nodi e trecce e orecchini di drago troppo grandi appesi ai lobi.
"Signorina Lovegood", saluta Theo, "che piacevole sorpresa. Vuoi entrare?"
Luna inclina la testa e sporge una piccola pianta. "Sì, grazie. Ti ho portato questa felce".
"Felce?" Theo ripete, afferrando quello che sembra essere una specie di cespuglio di foglie dalle sue mani. "Non ho mai sentito parlare di felci".
Luna batte le mani ormai libere e lo supera nell'atrio: "Oh sì, immagino che tu non l'abbia mai sentita. È una pianta babbana, in realtà".

Remember Us As War (but call us forgiveness) - [traduzione - Anyaparadox)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora