Erano passati ben sei anni da quando quel giorno d’estate fui trovata dal signor Mason ed ero stata accolta nella sua grande casa. Mi aveva dato una casa, una nuova vita e una nuova famiglia. In questi anni ero cresciuta, non solo in altezza; le forme infantili erano sparite, lasciando spazio a quelle di una giovane donna.
Tutti mi dicevano che ero diventata bella, io però vedevo solo riflesso nello specchio il volto di mia madre. Crescendo ero diventata simile a lei, la cosa mi turbò facendomi quasi detestare il mio riflesso. Me stessa. Guardarmi allo specchio mi riportava alla mente ricordi dolorosi.Invece quando guardavo la signorina Mason, vedevo quanto fosse diventata bella. Era talmente bella da toglierti il respiro ogni volta che posavi lo sguardo su di lei. Ringraziai ogni giorni il cielo che non avesse preso nulla della madre. Anche lei era diventata più alta, adesso eravamo quasi alla stessa altezza.
Crescendo e stando con me, aveva perso l’abitudine di scappare o fare capricci, anche se aveva mantenuto il suo bel caratterino, però la cosa a me non dispiaceva affatto, amavo il suo carattere deciso e forte, ma soprattutto, quando metteva su quel suo broncio che la rendeva ancora più bella ai miei occhi. Col passare degli anni non avevo smesso di difenderla, anche se dovevo ammettere che non c’erano più stati casi di violenza frequenti come una volta. A lezione era molto brava, quindi il professor Godwin non fu più costretto a usare la bacchetta -anche se restava pessima nel disegno-; per quanto riguarda la signora Cook, si era stufata di picchiare me al pasto suo, così aveva smesso, aveva perfino smesso di tormentarci.
Era uno di quei periodi in cui il signor Mason si trovava a casa, e io e la signorina eravamo più felici e libere di fare ciò che più ci aggradava. Facevamo una sacco di passeggiate, dei picnic sotto all’ombra del grande melo -fortunatamente non mi cadde mai un mela in testa-, quando c’era la bella stagione facevamo il bagno al fiume o andavamo al ruscello. Continuavo a batterla sia a scacchi che a carte, facendole mettere su quel bel broncio. Erano momenti bellissimi anche se semplici, ed era questo a renderli tali, anche perché li passavo insieme a lei, ed era tutto ciò che contava per me.
Quel giorno stavamo giù al fiume, era una di quelle rare giornate di sole, eravamo sdraiate sull’erba a goderci il sole che ci illuminava il viso e a lasciarci cullare dal suono dell’acqua che scorreva. Lei come al solito stava abbracciata a me, con una mano giocherellava con una mia ciocca di capelli ribelli, io le accarezzavo la schiena in modo affettuoso. Il nostro rapporto in quegli anni era diventato talmente unico che certi gesti d’affetto ci venivano naturali, spontanei.
<<Resterei così per sempre>>, mormorò.
<<A lasciarvi cullare dal scorrere dell’acqua?>>.
<<Anche, ma non intendevo questo>>.
<<Cosa intendevate?>>.
<<Stare qui abbracciata a te in questo bellissimo posto, dove nessuno può dirci nulla. Siamo solo io e te, e nient’altro. Non è magnifico?>>.
<<Sì>>. Amavo stare insieme a lei nella nostra solitudine. Nel nostro piccolo e beato mondo.
<<A volte rimpiango di non averti conosciuto prima, mi sarei risparmiata tanta infelicità>>.
Prima di incontrarla ero molto felice. Dopotutto al contrario di lei avevo una bella vita serena e piena d’amore. Poi tutta quella felicità mi fu portata via. Lei invece subita le tirannie della signora Cook e di sua madre.
<<Penso che in qualche modo sia stato il destino a volerci far incontrare>>.
<<Anche se in modo tragico?>>, dissi.
<<Oh… che insensibile che sono. A volte dimentico che i tuoi genitori non ci sono più>>.
<<Non fa niente. So che non era vostra intenzione>>.
<<Non mi hai mai detto come sono morti. So solo tramite il giornale, di tua madre, non che ci fosse scritto molto. Diceva solo che la famosa autrice di libri per bambini era morta a causa di una malattia, di che malattia si trattasse non c’era scritto>>.Nonostante conoscessimo da anni e avessimo questo rapporto simbiotico, non le avevo mai raccontato come fossero morti i miei genitori. Per me era ancora una ferita aperta, nonostante siano passati anni d’allora.
<<Come ben sapete, mio padre era un medico, era famoso in ciò che faceva, ed era molto stimato. Lui curava tutti, indistintamente dal loro ceto sociale. Diceva che tutti avevano il diritto di essere curati. Mi diceva anche che curava dei pazienti speciali, all’epoca non capivo di che si trattasse, ma col passare degli anni ho compreso>>.
<<Di chi?>>, mi chiese curiosa.
<<Criminali. Forse anche assassini, non saprei>>. Ripensai all’ultimo giorno in cui vidi mio padre, quel giorno era andato a curare proprio uno di quei pazienti speciali. <<Un giorno venne un uomo, era molto agitato, un suo amico era stato gravemente ferito, così mio padre spinto dal suo senso del dovere andò a curarlo>>.
<<Poi che successe?>>.
<<Da quel che so, dopo che mio padre salvò la vita a quell’uomo, lui lo uccise, per non avere testimoni a quanto pare>>.
<<È terribile. Non so come la prenderei se qualcuno dovesse uccidere mio padre. Penso che ne morirei>>.
<<Mi sono proprio sentita così, però dovevo essere forte e andare avanti per mia madre>>.
<<E lei come reagì alla morte di tuo padre?>>.
<<Lei… ne fu devastata. Con le ultime forze che le restarono, ha venduto lo studio di mio padre, non tollerando più la sua vista. Poi venne a prenderci un uomo, il signor William, che ci portò nella sua casa. Lì mia madre si spense definitivamente, non era più lei, ma solo l’ombra di se stessa>>.
<<È terribile>>.
<<Non si riprese più. In seguito le venne una febbre celebrale che la uccise>>.
<<Dev’essere stato terribile per te>>.
<<Molto. Però in quel periodo c’erano con me il signor William e i suoi figli. Anche se ora so che probabilmente erano dei ladri, so che erano onesti in qualche modo, dopotutto la fame ti spinge a fare cose che gli altri non si sognerebbero di fare mai>>.
<<Anche tu rubavi?>>.
<<No, il signor William non ha mai voluto che mi immischiassi nelle loro faccende. Lui era molto paterno nei miei confronti, anche i suoi figli mi trattavano come se fossi parte della famiglia>>.
<<Pensi mai a loro?>>.
<<Ogni tanto sì, però ora ho voi>>. Ogni tanto mi chiedevo come stessero il signor William e suoi figli, speravo sempre che stessero bene e che non si fossero cacciati in qualche guaio più grande di loro. Sapevo che a Londra la legge era molto crudele. Non volevo che qualcuno di loro finisse sulla forca.
<<Un giorno potremmo andare a trovarli, che ne dici?>>, mi chiese piena di speranze.
<<Vostro padre non vuole che andiate a Londra, figurarsi portavi in uno dei peggiori quartieri, in un covo di ladri per giunta, gli verrebbe un colpo>, ridacchiai. Anche lei rise.
<<Più che altro verrebbe a mia madre>>.
<<Sì, già me la immagino>>. Non riuscii più a contenermi dalle risate.
<<Però potremmo andarci di nascosto. Prendiamo il treno e andiamo a trovarli>>, mi propose.
<<Per quanto la vostra offerta sia allettante, devo rifiutarla. Vostro padre si fida troppo di me, non posso portare la sua unica figlia in un covo di ladri, anche se buoni>>.
<<Che guastafeste>>, piagnucolò.
<<Sono qui per questo>>, ridacchiai.
Mi stiracchiai sbadigliando, il sole se ne stava quasi andando e avevamo un mucchio di cose da fare prima della gran festa che stavamo organizzando per il pensionamento del professor Godwin.
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Miss
Ficción históricaLondra 1853, Isobel viveva felicemente con i suoi genitori a Kensington. Suo padre era uno stimato medico e sua madre una famosa scrittrice di libri per bambini. Erano molto felici, ma tale felicità non durò a lungo, finendo in tragedia. Un giorno...