23. Sconosciuto

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EVELYNE'S POV

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EVELYNE'S POV

Avete presente la sensazione di quando ci si sente in colpa per aver fatto qualcosa, ma senza aver avuto altra scelta?
Ecco, io si.
Era esattamente quello che provavo mentre mi dirigevo a nascondere temporaneamente i vestiti sportivi catapultandoli con rabbia nell'armadio. Non potevo rivelare ai miei genitori che ero stata ammessa alla Kelly's Dance Academy e, allo stesso momento, ero arrabbiata perché una delle mie paure più grandi si era avverata, cioè quella di essere usata da qualcuno. Il modo in cui l'avevo scoperto mi mandava fuori di testa, perciò sospirai per alleviare il miscuglio di sentimenti che si era innescato dentro di me.

Odiavo quando, a furia delle troppe emozioni che si ingarbugliavano e accavallavano nella mia mente, si creava un nodo immaginario nella gola, che si sarebbe sciolto solamente dopo aver compiuto un pianto liberatorio.
Detestavo piangere, ma era l'unica via che mi rimaneva per sfogarmi.
Anche se ero in procinto di farlo, non permisi ad alcuna goccia di scendere.

Con il passare degli anni avevo imparato a controllare le mie lacrime in qualsiasi situazione, non volevo mostrarmi vulnerabile agli occhi di nessuno, soprattutto a quelli dei miei genitori.
Lo facevo anche quando mi trovavo in compagnia, non avrei voluto spiegare tutti i motivi che mi portavano a versare fontane dagli occhi e, inoltre, non ero capace ad esprimere i miei stati d'animo a parole, poiché in molti casi non li capivo nemmeno io.

Mi accomodai a tavola insieme al resto della mia famiglia che, con il loro silenzio, contrastavano il rumore delle posate.
L'unica ad essere spensierata era la piccola Charlotte. Bianca aveva sicuramente avuto un'altra discussione con Ethan, mamma aveva subito qualche complicazione al lavoro e papà portava i segni di stanchezza, dovette fermarsi ben oltre il normale orario di lavoro per risolvere alcune questioni a me sconosciute.

Io invece, iniziavo poco a poco a domandarmi cosa avrei dovuto fare prossimamente.
Il mio lato impulsivo avrebbe crepato in mille pezzi la vetrata di Anderson con un sasso, però, ero una ragazza le cui paranoie predominavano la maggior parte delle volte, dunque evitai di spaccare la testa a qualcuno compiendo qualche reato e di pagare il risarcimento danni per le riparazioni di una finestra.

Quindi, avrei dovuto far finta di niente o agire come se il diretto interessato fosse uno sconosciuto?
Assolutamente la seconda.
Il mio rancore non era in grado di esercitare la prima opzione, quindi non mi rimaneva altro che entrare in modalità'faccio come se non ti avessi mai incontrato'.
Avevo deciso, era così che mi sarei comportata da allora in poi nei confronti di Christopher Anderson, anche se mi sarebbe risultato difficile a causa delle ripetizioni che la signorina Johnson mi aveva assegnato il compito di dare.

Portai la forchetta alla bocca e addentai il pezzettino di carne infilzato in essa, masticandolo il più lentamente possibile per pensare - in quel brevissimo arco di tempo - all'ennesima scusa efficiente che sarebbe dovuta essere in grado di convincere mia mamma a farmi uscire.

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