IV - I know what I did last night

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6/03/2015

I primi raggi di sole colpirono l'erba sporca di terra e sangue vicino ad Effy. La luce la aiutò a vedere ciò che era successo. Si era svegliata da poco. Era spaventata e debole. Completamente nuda si guardò intorno per vedere quello che rimaneva dalla notte. A poco da lei c'erano i resti di qualcosa di grande e impossibile da identificare. Effy iniziò a tremare, non tanto per il freddo quanto per la paura. L'unica cosa che copriva la sua pelle nuda era il sangue.

Si alzò delicatamente da terra

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Si alzò delicatamente da terra. In piedi sembrava le ginocchia non volessero reggerla. Pian piano si avvicinò alla carcassa insanguinata e potè giusto immaginare e sperare che fosse un animale. In quel momento si fermò e si riprese ripetendosi, «non avere fretta Elizabeth, è sicuramente un sogno, come quello di un mese fa». Incerta e speranzosa si incamminò per il fitto bosco verso casa e di corsa ci entrò. Andò verso il bagno e si fece una veloce doccia fredda. Era troppo vero per essere un sogno, ma una spiegazione doveva pur esserci.
Decise di affrontare la situazione, quindi si vestì, uscì di casa e si recò dove era rimasta la sera prima.
Arrivata sulla strada, le gambe non la ressero più. Cadde sulle ginocchia e si mise a fissare l'asfalto dove era accostata una macchina con gli sportelli spalancati. Vicino l'auto una striscia di rosso si allungava fino alla foresta, dove la mattina stessa Effy si era svegliata. Dopo un paio di minuti che rimase a fissare la scena, si alzò e seguì le tracce di sangue. La scia era molto lunga e le ci volle un bel po' di tempo prima di raggiungere la destinazione. Fu un altro brutto colpo vedere dove l'aveva condotta, poiché si ritrovava nel punto esatto dove si era svegliata. Si accasciò nuovamente a terra, questa volta in lacrime.
Distrutta ritornò alla macchina dove era rimasta la borsa. La prese e tornò a casa. Sul cellulare c'erano le chiamate perse della madre e di Dylan a cui non aveva scritto poiché non era mai tornata a casa. Quel giorno Effy non andò a scuola, anzi, entrata a casa si rintanò nella stanza e trovò rifugio sul pavimento, sotto al letto dove rimase a lungo a pensare e a riposarsi. Ricordò che da piccola ci rimaneva a lungo quando era triste o quando litigava con qualcuno. Calde lacrime iniziarono lentamente a scendere e a rigarle i lati del viso.

 Calde lacrime iniziarono lentamente a scendere e a rigarle i lati del viso

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Non sapeva che ore fossero. Qualcuno entrò a casa. Sicuramente erano i genitori che rientravano dal lavoro. L'avrebbero riempita di domande. Effy la sentì salire le scale e raggiungere la sua stanza. La porta si aprì e Dylan si chinò e raggiunse Effy sotto al letto. La abbracciò e rimasero così a lungo, poi si scansò quel poco che bastava per guardarla in faccia. Con le mani le circondò la testa e con i pollici le accarezzò le lacrime. Non chiese nulla. Sapeva che in quel momento non gli avrebbe risposto. La conosceva molto bene. «Non voglio stare da sola», furono le uniche parole che gli disse e gli bastarono, poiché rispose «Lo so Effy, lo so. Mi prenderò cura di te adesso, okay?», e la abbracciò.

Alle 19:30 circa, rientrarono i genitori di Effy a casa e Dylan si alzò dal pavimento per andarli a salutare e a chiedergli di rimanere la notte. Effy non aveva la forza mentale di alzarsi, così rimase lì sotto ad aspettarlo. Quando tornò non si sdraiò vicino a lei. La guardò e le chiese «dove sei stata ieri sera?». Effy non rispose. Anche se avesse voluto i suoni non uscivano dalla sua bocca. Non avrebbe saputo cosa dire. «Effy! I tuoi ieri non ti hanno vista tornare, erano molto preoccupati. Gli ho detto che sei venuta da me. Invece, cos'è successo? Dove sei stata Effy?», il tono della sua voce si faceva sempre più preoccupato. «Così mi spaventi. Ieri sera non torni a casa, non vuoi dirmi dove sei stata, oggi non vieni a scuola, ti trovo qui accucciata e in tutto da stamattina mi hai detto cinque parole, neanche tanto rassicuranti».

«T-ti prego», balbettò in un sussurro, «basta. Sto bene, voglio solo stare tranquilla».

«Tu dici? Io invece credo che tu non stia affatto bene. Sei strana, e si vede. Perché non vuoi parlarmene?», era diventato aggressivo e ciò le faceva venire ancor meno voglia di raccontargli ciò che era successo, non che l'avrebbe fatto, ma... Quindi decise di mentirgli, di nuovo.

«Va bene Dylan», Effy uscì dal rifugio e si sedette sul bordo del letto, «ascolta, ieri sera, dopo che ci siamo salutati, ho deciso di non aspettare l'autobus poiché era tutto isolato e mi sono incamminata verso casa. Ad un certo punto ho avuto una specie di blackout, perché non ricordo cosa sia successo dopo. Devo essere svenuta e poi stamattina devo essere tornata a casa quando i miei erano già usciti senza neanche rendermene conto. La cosa mi ha un po' spaventata, ecco perché oggi non sono venuta a scuola». Sembrava molto sicura di sè. Lo stesso non si poteva dire di Dylan, a cui sembrava una cosa così strana che la guardò con aria sospettosa.

«Okay», disse alla fine, «ma si può sapere perché non me ne hai parlato prima? Sembrava che avessi ucciso una persona». Nel sentir dire quell'ultima frase a Effy tornò in mente la carcassa morta della donna vicino a lei quando si svegliò. Nonostante quel pensiero, mantenne la sua espressione.

«Sinceramente speravo mi tornasse in mente la dinamica di quello che era successo».

«Va bene. Senti Effy, è meglio che vai dai tuoi a far vedere che sei viva, la mia storia non gli è piaciuta molto».

Effy si alzò e andò nella sala da pranzo dove erano seduti i suoi genitori. Li salutò e raccontò loro che ieri aveva deciso di cenare insieme a casa di Dylan per poi continuare a studiare inglese e che credeva di avergli inviato i messaggi per avvisarli ma che in realtà non erano arrivati a destinazione e se n'era accorta troppo tardi.

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