I - It was only just a dream

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4/02/2015

Quando si sveglió quella notte, tutto intorno a lei era strano. Nel buio pesto della notte riuscì a intravedere gli oggetti familiari della sua camera da letto che la circondavano. Completamente sudata, si girò, cercando una posizione comoda per riaddormentarsi dopo essersi svegliata con quella agitazione di cui non ricordava il motivo. Sulla soglia della porta vide, con i suoi occhi assonnati, due riflessi; aprì di più gli occhi per capire meglio cosa fossero, allora si avvicinò e quella cosa che reggeva quei due occhi grossi e lucidi corse velocemente verso di lei. La ragazza gridò. La "bestia", o qualunque cosa fosse, saltò sul suo letto e la sorpassò. La ragazza era sotto le coperte e non aveva intenzione di uscirne. Nel momento in cui non sentì più i versi del mostro, scostò la coperta e ne uscì. La bestia era proprio sopra di lei, con gli occhi socchiusi e i denti in bella vista. La bestia ringhiò. La ragazza urlò con tutto il fiato che aveva in corpo mentre sentiva le sue calde lacrime bagnarle il viso. La bestia alzò la zampa destra e le colpì il braccio sinistro con gli artigli. La ragazza sentì il sangue uscire a fiotti dal suo braccio.

La luce si accese. La madre della ragazza entrò di corsa chiedendole cosa stesse succedendo. Davanti a lei non c'era più l'orrenda bestia pelosa. Era solo un sogno. Riportò la madre al letto, rassicurandola che andasse tutto bene.

La mattina si alzò per andare a scuola. Accese la luce che la accecò. Coprì i suoi occhi con il braccio e sentì qualcosa di umido sul viso. Sulla manica del pigiama c'era una pozza rossa. Alzò la manica e vide tre lunghi e profondi tagli fasciarle il braccio ricoperto da sangue secco. Così andò in bagno a prendere la scatola del pronto soccorso e si fasciò l'avambraccio. Quella cosa che aveva sognato l'aveva graffiata?! Ma... era solo un sogno...

La ragazza, Elizabeth, passò tutto il viaggio in macchina per andare a scuola senza parlare

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La ragazza, Elizabeth, passò tutto il viaggio in macchina per andare a scuola senza parlare. Era immersa nei suoi pensieri, nel cercare di ricordare la dinamica del sogno, perché doveva essere per forza un sogno. Pensò quindi che per la paura dell'incubo e per l'agitazione si fosse graffiata da sola. Era l'unica spiegazione che riuscì a tirar fuori.

Con i pensieri stampati in testa affrontò sei lunghe ore di lezione. Al suono della campanella si sedette sul bordo del marciapiede di fronte scuola e prese una sigaretta come era sua abitudine da quattro anni. Aspettò che uscisse dalla scuola il suo migliore amico, Dylan.
Loro due sono amici sin da quando erano bambini; si conoscono da dodici anni.
Aspettò a lungo che uscisse dalla scuola, ma ormai era abituata ai suoi ritardi. Infatti sembrava sempre che aspettasse di essere l'ultimo ragazzo in tutta la scuola per uscire.
Loro due abitano nello stesso quartiere, quindi stanno sempre insieme: vanno e tornano da scuola insieme, mangiano insieme, studiano insieme e a volte dormono addirittura insieme.
Finita la sigaretta, Elizabeth alzò la manica della sua maglietta per vedersi la ferita. La fasciatura era sporca. Curiosa di rivedere quella ferita, si strappò la fasciatura zuppa di sangue. La buttò per terra e si strofinò il braccio. Era pulito. Non poteva credere a ciò che vedeva. Nessun graffio, nessuna cicatrice e nemmeno un po' di sangue secco. Prese la fasciatura e vide tutto quel sangue. Scosse la testa, perplessa da ciò che aveva visto.
Infine, quando tutta la scuola era ormai uscita, Elizabeth, chiamata dall'amico Effy, vide Dylan uscire.
«Ce l'hai fatta», disse Effy scherzosamente, «ho quasi finito un pacchetto».
«Quindi te ne sono rimaste!», rispose con un sorriso l'amico.
«Tieni», fece una smorfia e gli allungò il pacchetto di sigarette. «Com'è andato il test di matematica?», chiese Effy.
«Non male, o forse si», si aspettava quella risposta; è sempre vago quando gli chiede le cose anche se è una cima a scuola. Effy gli diede una piccola spinta e lui in cambio le spettinò i capelli.
«Stasera c'è una festa. Vieni, vero?»
«Un'altra? Non lo so. Domani c'è la verifica di francese e non posso permettermi di andare male. Di nuovo», rispose.
«Non preoccuparti per quello, studiamo insieme. Se non vieni non ci vado neanche io, e non puoi farmi una cosa del genere».
Così si avviarono verso casa; mangiarono qualcosa al volo e si misero subito a studiare.
Si prepararono per andare alla festa.
Arrivarono verso le 17:00 e aiutarono a finire di sistemare. C'era legna per un falò, tende per la notte, casse di birra, stereo per la musica e stelle filanti.

La notte arrivò presto, e anche i ragazzi e le ragazze. Molti di loro erano già strafatti prima di arrivare. La festa iniziò. Fu un modo per non pensare a nient'altro che a divertirsi e scatenarsi. Dopo aver ballato, bevuto, fumato, scherzato erano tutti molto stanchi e andati. Era molto tardi, erano tutti sdraiati sull'erba a guardare il cielo tagliato dai rami degli alberi e le stelle. Effy era vicino a Dylan e gli teneva la mano. Lo guardò. Aggrottò la fronte e le mancò il fiato, così si alzò di colpo. Dylan si sollevò con le braccia e poggiato sui gomiti le chiese cosa non andasse. Effy si alzò in piedi e si allontanò di poco. Dylan la seguì. Le prese le braccia e fissandola negli occhi preoccupato le domandò cosa avesse. Effy ricambiò lo sguardo e stupita gli disse con calma, come se avesse dovuto saperlo «C'è qualcuno, dobbiamo andarcene da qui», poi ripetè la stessa frase solo più forte e con più agitazione strattonando le braccia perché gliele lasciasse. Dylan incapace di capire la guardò confuso. Effy si girò e corse via. Aveva paura. Nel frattempo sentiva Dylan chiamarla, ma dal tono di voce che si abbassava capì che non la stava più inseguendo. Sapeva di dover insistere per farlo andare con lei, ma la paura prese il sopravvento. Corse più veloce che poteva. Stanca e con il fiatone si fermò. Stava per iniziare a correre nuovamente, quando sentì il suono delle foglie secche e dei ramoscelli spezzarsi. Qualcuno era lì intorno. Era troppo buio per capire chi e dove fosse. Effy chiese impaurita «C-chi c'è?». Nessuno rispose. Non sapeva dove scappare. C'era qualcun altro lì con lei. Sentiva il fiato pesante. Come il suo. Si mosse lentamente da una parte. Venne scaraventata via. Gridò aiuto. Sopra di lei c'era una bestia grande e pelosa che le ringhiava contro. Alzò la zampa e la graffiò. Gridò ancora più forte. Cercò di colpirlo con un pugno mentre la bestia continuava a farle del male e con l'altra mano trovò un rametto lungo e appuntito con cui la infilzò. Doveva avergli fatto male, perché per fortuna si allontanò. Si alzò da terra ma cadde. Lo shock la paralizzò a terra. Passò un bel po' prima che si decidesse ad alzarsi e andare via. Vide la ferita sul braccio, profonda ma non visibile a causa del sangue che glielo fasciava. Guardò il cielo. La luna veniva scoperta dalle nuvole. Nuvole che in tutta quella sera non si erano fatte vedere. Il cielo era sempre stato limpido. Tornò lentamente e con molta fatica dagli altri, e quando vide le fiamme del falò, svenì.

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