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‖ 𝐍𝐞𝐰 𝐄𝐧𝐭𝐫𝐲 👤‖ ‖ 𝐁𝐫𝐮𝐭𝐚𝐥 🩸‖ ‖ 𝐃𝐞𝐞𝐩 𝐌𝐞𝐦𝐨𝐫𝐢𝐞𝐬 🕰️ ‖
‖ 𝐒𝐢𝐥𝐞𝐧𝐭 𝐒𝐭𝐫𝐮𝐠𝐠𝐥𝐞 🕳️ ‖

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«𝒮𝒾 𝓋𝒾𝓈 𝓅𝒶𝒸𝑒𝓂, 𝓅𝒶𝓇𝒶 𝒷𝑒𝓁𝓁𝓊𝓂»

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Theos venne forzato ad aprire gli occhi. La donna dai guanti di seta neri lo stava fissando. «Caro» disse, «abbiamo poco tempo: rispondi in fretta e non osare dire stronzate. Se vediamo che esiti finisce male, se cerchi di evitare le domande finisci male. Ti conviene capire subito».  

«Phoebe Ethelbert d'Arcy» ringhiò Theos, legato alla sedia con pesanti catene di metallo. Ai lati, percepiva le altre ragazze guardarlo con insistenza.

La sorella maggiore di Cedric era conosciuta in tutto il College per la sua perversione nel comandare i più deboli. Nessuna questione interna e dinamica sociale le sfuggiva: il suo controllo sugli studenti era quasi onnipresente, soprattutto se questi rappresentavano un problema o un rischio per l'istituto. Insieme al fratello era colei che teneva in pugno le gerarchie del Consiglio Studentesco. Grazie alla sua reputazione, sufficiente a incutere timore anche negli studenti più audaci e anarchici, riusciva a mantenere un ordine ferreo e incontrastato.

«Lo scompiglio di questa sera non ha precedenti, non lo si può paragonare a nessun altro evento passato» esclamò Phoebe, accavallando le gambe snelle e controllando una cartelletta. «Non è vero, Theos? Che tu sappia, in questi tre anni il Consiglio Studentesco ha mai permesso una cosa simile? L'accoglimento di una bastarda di strada, di una puttanella, portata al sacro Tempio degli Ethelbert d'Arcy...» il suo tono di voce si era ridotto ad un sibilo. 

Theos cercò di liberarsi dalle catene, ma non parlò. Si morse la lingua e con sguardo truce dilaniò Phoebe. 

«Tu la conosci. Chi è, da dove viene? Perché Cedric non la lascia un secondo?» chiese Phoebe, rispondendo all'occhiataccia di Theos con una smorfia di ira. «Non parla con nessuno ed è impossibile da avvicinare. Tutto l'istituto non fa che pensare e parlare di lei. Chi è quella puttanella, Theos?» ripeté Phoebe con lento odio. 

«Lei è mia. Lasciatela stare» disse Theos. 

Phoebe annuì schioccando le labbra. Il suo lucidalabbra cremisi luccicava nella penombra della camera. «Voglio mettere in chiaro una cosa, Theos. Io sono molto più forte di mio fratello. Vuol dire che quando lei sarà nelle mie mani -ovvero prima di quanto tu possa pensare- deciderò io quale sarà la sua punizione. Se alla fine vuoi poterla ancora definire "tua", devi dirmi la verità».

La presenza di Phoebe era opprimente.

Theos serrò la mascella. «Lei è mia» ripeté.

Phoebe inclinò la testa di lato. «Caro, ho poco tempo, ti avevo avvisato» disse. Fece un cenno della mano ad una delle studentesse di guardia. Questa gli si avvicinò e tirò fuori dalla tasca una scatoletta nera.

L'ago scintillò nella luce fioca, poi venne inserito lentamente sotto l'unghia del dito medio di Theos. Il dolore esplose in onde lancinanti. Sentiva il sudore freddo scivolare lungo la schiena mentre il metallo gli perforava la carne. La studentessa si muoveva con una precisione inquietante, come se avesse eseguito quel gesto già una decina di volte. Theos deglutì a fatica, il dolore gli annebbiava i sensi. Si morse il labbro e ingoiò il respiro affannoso. Phoebe fece un cenno alla ragazza con l'ago, che lo ritirò con lentezza. 

«Non mi piacciono i segreti, Theos. E detesto ancora di più le persone che cercano di nascondermi la verità» sussurrò.

La studentessa estrasse un altro strumento dalla scatola nera. Una pinza affilata. La posizionò sul dito sanguinante e iniziò a stringere.

Il dolore fu brutale, selvaggio. Theos sentì un urlo soffocato risalire dalla gola, ma si costrinse a rimanere in silenzio, boccheggiando per l'agonia. Phoebe lo osservava senza battere ciglio, la bocca tesa in una linea dura. 

I confini tra la realtà e la memoria svanirono lentamente. La mente di Theos venne invasa da sprazzi violenti quanto vividi di coscienza. Il passato lo assalì.


La Mamma, la bambina, il suono delle cicale in estate nello stretto giardino dell'Orfanotrofio. Sentiva tutto questo, vedeva l'amore nei suoi occhi e sentiva il calore dei suoi abbracci. Quando si faceva male lei era sempre la prima ad aiutarlo, stretta nel camice bianco, stanca eppure con il sorriso. Ricordava i suoi cerotti colorati e profumati.

Il bambino piangeva ogni notte sul cuscino. Gli faceva male il petto e trovava sollievo solo nel sonno. La aspettava al mattino, la cercava la sera, le mancava quando si spegneva l'ultima luce. 

La manifestazione della Mamma nei suoi pensieri era un'ossessione.

Qualcuno gli stava togliendo i lucchetti dalle catene con un ferretto. 

Theos aprì di scatto gli occhi. «Cocò» esclamò con la voce impastata dal sonno, appena mise a fuoco il suo volto. Una studentessa dell'ultimo anno gli era quasi in braccio e cercava di liberarlo. Theos sentiva il contatto pressante del suo seno sulla sua guancia e quel dolcissimo profumo che aveva tante volte abbracciato all'alba, nella stanza di lei.

«Eccomi qui a salvarti, mi niño» Cocò lo baciò sul collo e la sua risata si trasformò in un ghigno, «mi devi ancora una doccia».

Theos non riuscì a evadere dalla sua stretta. «Liberami» ordinò, «non dovresti essere qui».

Cocò volle abbracciarlo con più intensità, ma Theos la spinse all'indietro e, con le braccia ora libere ma ancora intorpidite dagli anelli delle catene, si alzò e controllò lo zaino. «Dove sono andate? Come hai fatto a liberarmi?» chiese. «Quanto tempo fa sei arrivata? Perché non mi hai svegliato subito?».

Cocò lo interruppe. «Sciocco» mormorò dolce. «Te lo ripeto ogni volta, che parli nel sonno. Soprattutto quando fai gli incubi».

«Cosa ho detto?».

Cocò fece spallucce. «Chiedilo al mio fratellino» disse, «è sveglio da un bel po', credo abbia sentito. Io sono arrivata da poco».

Theos si voltò. José Torres Castillo, imbavagliato e scomposto sul letto, lo fissava cupo, gli occhi sgranati.  «Hijo de puta».



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𝐂𝐇𝐀𝐒𝐈𝐍𝐆 𝘵𝘩𝘦 𝐒𝐔𝐍𝐒𝐄𝐓Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora