AURELIA
Dopo aver cenato per bene, salgo su in camera per finire alcuni esercizi di matematica. Nella mia testa si creano immagini di quello che mi è successo a scuola, quel ragazzo. La cosa che mi turba di più che non posso raccontarlo e condividerlo con nessuno. Il mio telefono squilla facendomi tornare alla realtà. Sullo schermo si illumina il nome Chris Decker, probabilmente vorrà sapere cosa voleva da me il preside oggi, visto che non ci siamo beccati in giro dopo.
"Pronto?", rispondo alla chiamata.
"Ciao, Auri" sento la sua voce provenire accanto al mio orecchio "Tutto bene? Non sono riuscito a vederti dopo la lezione di chimica", chiese dolcemente.
"Si, si", balbetto "Tutto a posto", sospiro "Il preside voleva solo sapere se qualcuno della scuola mi aveva venduto le droghe" sdrammatizzo, o almeno così è sembrato nella mia testa. Non vorrei proprio passare per una vittima e lamentarmi che nessuno mi crede sulla mia perdita di memoria.
"Scommetto che non vedi l'ora che finisca tutta questa storia", dalla voce mi sembra rattristito per la storia che mi capitando.
"Si cazzo", sospiro buttandomi sul letto.
"Vorrei tanto essere lì e consolarti di persona", il mio cure inizia a battere più velocemente. Chris è un bel ragazzo, ma proprio bello. Chissà in che rapporti eravamo prima di quell'incidente. Magari non mi degnava neanche di uno sguardo, magari mi ammirava segretamente. Vorrei proprio poterlo sapere, poterlo ricordare.
"Sarebbe proprio bello...", vorrei chiedergli di vederci adesso, visto che non ho nulla da fare e sono solo le otto della sera, ma i miei pensieri furono interrotti dalla mia finestra, si spalancò d'un colpo. Sussulto saltando giù dal letto. So che Chris ha sentito il mio sussulto, di sicuro può sentire il mio respiro, visto che sto letteralmente prendendo tutta l'aria che homa disposizione riempendomi i polmoni.
"Aurelia?", la sua voce risuona preoccupata. "Che succede? Tutto bene?", guardo la finestra e vedo Rafal.
"Niente!", dico velocemente "Niente, tutto bene", balbetto. "Scusami devo andare, ci sentiamo dopo, va bene?"
"Ok...buonanotte", chiudo la chiamata proprio mentre Rafal scavalca la finestra. Tira via il secondo piede dalla finestra, vedo che sta per calpestare il vaso, di nuovo. Cerco di prenderlo per non farlo cadere, ma sono troppo lontana dalla finestra e mi preparo per il rumore della ceramica che si rompe, invece il vaso non cade. Guardo sbalordita il vaso e la mia mano allungata con la palmo aperta. La pressione si allunga sulle punta delle dita e il vaso fluttua nell'aria. Sto tenendo il vaso con la magia? Mi concentro su quella sensazione.
"Ho scoperto una cosa sui ninferi", dice Rafal, distraendomi da quello che facevo, lui non vede il vaso fluttuare accanto a lui ma lo nota quando cade sul pavimento e si rompe in mille pezzi.
"Cazzo, tua zia mi ucciderà", si arrabbia guardando il vaso per terra. Lo sguardo di Rafal cade sul mio telefono ancora in mano.
"Eri al telefono con qualcuno?", mi chiede sorpreso, come se fossi una persona che non utilizza mai il telefono.
"No, non stavo parlando con nessuno", le parole uscirono dalla mia bocca ancora prima di pensarci.
"A me puoi dire la verità", il suo sguardo diventa triste e quasi offeso, non mi va proprio di dirgli che ero al telefono con qualcuno, non so perché gli importi così tanto di tutto quello che faccio.
"E' la verità", esclamo lui scuote la testa guardandosi le scarpe "Cosa dicevi sui ninferi?".
"Ah si", si siede sul letto- "Dopo aver parlato con Rick di quello che è successo, e dopo aver fatto delle ricerche mi ha fatto pensare ad una vecchia leggenda sui ninferi, o sul loro capo, interpreta come vuoi", lo fisso con lo sguardo assente, si è probabilmente dimenticato che non mi ricordo nulla di tutto ciò e lui parla come se fossi sul pezzo. Annuisce e prosegue. "E' una leggenda popolare molto famosa qui. Siamo cresciuti ascoltando le storie spaventose sulla Regina dei ninferi. Si presume che tutto sia basato sulla storia di una persona vera", appoggia le mani sulle ginocchia. "Dicono che avesse dei poteri soprannaturali. Tutti la chiamavano...".