Capitolo 3

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Janett mi obbliga ad andare a scuola perché le aveva telefonato il preside, comunicandole che le mie assenze erano troppe.

Sono appena entrata in classe mi sento immediatamente fissata da tutti.

Me ne infischio di questi bambinetti, di questi sguardi, di questo vociare e sparlare. Solo che..

Sto per sedermi da sola quando un ragazzino riccio e biondo richiama la mia attenzione.

"Ciao, se vuoi puoi sederti vicino a me"

Con la stessa espressione di quando vedo quanta fila c'è al supermercato mi siedo accanto al ragazzino.

"Piacere... sono Jude"

Ah già Jude, il ragazzo più popolare della scuola.

Il fratello di Ella.

Il fratello di una perfida ragazzina in grado di far sentire insicura anche la modella più bella al mondo.
Tremo. E mi allontano con i pensieri.
Vedo i colori mischiarsi.

Eppure sembra così gentile.., al contrario di quella stupida di sua sorella.

"Ciao, sono Kley"

"Non ti ho mai vista qui a scuola, sei nuova?"

No, solo che passo le giornate a giocare alla ragazzina abbandonata in un vicoletto.

"Si sono nuova, prima vivevo in un'altra città"

"Ah, dove?"

"Weststreet"

La città dove era nato papà .
Non riesco a parlare più di così.

"Bello, io invece ho vissuto lì vicino qualche anno, ma la mia gemella,Ella, non ama particolarmente quelle zone, e quindi ci siamo trasferiti qui"

Eccola, Ella.

"Ah"

Incomincia la barbosissima lezione di matematica .

A ricreazione esco in giardino e sento una voce da lontano che mi chiama.

"Kleeeeeee! Santo cielo, non mi aspettavo di vederti qui!!"

Julia

Le corro incontro e la abbraccio fortissimo. Così forte e senza vergogna che mi sento protetta. L'ultimo abbraccio che avevo dato così era a mio padre.

Julia è la mia migliore amica dalle elementari. Si, la avevo allontanata perché pensavo che fosse Lidia la mia migliore amica, ma dopo che mi sono accorta di non riuscire a rivelare nulla a Lidia mi sono sentita rinchiusa in me stessa e quando sono riuscita a dire tutto a Julia ho capito che lei è una vera amica.
Riuscirò a dirle tutto?

Siamo un quartetto inseparabile, anche se dopo la morte di mio padreerano rimaste in tre, Oh, chi sono le altre due? Ma ovviamente Vivvi e Sarah.

Che vedo in lontananza proprio ora. Mi soffermo per osservare quanto sono cambiate. Vivvi, Viola in realtà, è alta, con i capelli corti e castani. Io e lei siamo le impulsive del gruppo, ci buttiamo in ogni avventura pazza.. o almeno così era. A giudicare da come mi sta correndo incontro con le braccia aperte e un sorriso enorme non sembra abbia perso il suo essere dolce e affettuosa.

Sarah è quella ragionevole. Anche lei è molto dolce ma prima di seguire me e Vivvi nelle nostre cavolate riflette attentamente. Ha dei capelli fantastici, lunghi e ricci, di un nero intenso. Ha anche un magnifico sorriso, ma in questo momento non saprei descriverlo perché la sua faccia è deformata in un' espressione arrabbiata, perché Vivvi non ha spinto la sua carrozzina a rotelle, che sull' erba funziona malaccio.

Un sorriso.

E' una sensazione strana ma sta prendando forma proprio ora sul mio viso senza accennare a fermarsi.

Mi giro verso Julia che vedendomi sorridere è molto sorpresa anche se cerca di nasconderlo.

"Ragazze, perché dopo scuola non venite da me?"

Finita la lezione mi dirigo verso casa chiaccherando piacevolmente con le ragazze quando una chiamata mi prende alla sprovvista: Lidia

Non sapendo cosa fare rispondo.

"Lidia?"

Sentì delle risate in sottofondo: Ella. Proprio mentre Lidia cominciava a parlare, facendo la mia imitazione, Vivvi mi strattona via il telefono dalle mani e se lo appoggia all' orecchio parlando a Lidia e Ella e dice: "Hey bimbe? Come è andata oggi all'asilo?"

Scoppio in una risata così forte che sto per piangere e le mie amiche con me.

"Al diavolo queste oche" dice Julia appena riesce a smettere di ridere, prendendo il mio telefono e chiudendo la chiamata

Arriviamo a casa e facciamo merenda, ma siccome Vivvi deve andare a prendere suo fratello dall'asilo decidiamo di trovarci domani.

Mi stendo sul letto e mentre prendo le cuffie ripenso a papà . Com'è morto? Beh, l'agente mi ha detto che non sapevano se si trattasse di omicidio o di un incidente e dalle riprese non erano riusciti a capire la targa e il tipo di macchina che lo aveva investito, ma solo il colore, verde militare.

Miliardi e miliardi di volte mi sono immaginata cosa fosse successo: lui che tornava a casa esausto dopo il lavoro, guardava a destra, poi a sinistra e iniziava a passare sulle strisce pedonali di una strada che non avrebbe mai finito di attraversare. Dal vialetto buio e umido sbucava un' automobile verde militare, dallo stesso vialetto in cui mi fermo tutti i giorni per scrutare la strada per aspettare papà e per assicurarsi che non passi nessuna auto verde. E infine il colpo: Lui con lo spavento scritto in faccia, l'auto che

passa e una esile vita che si spegne, piano piano, straziata dal dolore.

Il telefono inizia a squillare di colpo.

Lo lascio suonare senza rispondere, rimango quì, sul letto, ascoltando la suoneria e pensando che chiunque gli avesse fatto del male lo aveva fatto sicuramente apposta.

Come lo sò? Me lo chiedo anche io, ma in un qualche modo lo sento, insomma, mi sembra impossibile che qualcuno non si accorga che davanti a lui c'è un uomo con la bicicletta in mano che torna a casa da sua figlia.

Troppo TardiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora