Capitolo 54 - Il vuoto

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«Allora?» insiste Noah alle mie spalle.

«Non adesso. Devo-devo parlarle» prendo la rincorsa e mi metto a correre.

Dopo due passi qualcosa di pesante mi colpisce la schiena. Caccio fuori tutta l'aria in un colpo solo e un attimo dopo mi trovo a rotolare nella sabbia.

Mi guardo intorno confuso e senza fiato. «Cosa cazzo...»

Noah si massaggia la schiena, ha i capelli pieni di sabbia. Mi guarda con occhi che non gli vedevo da tempo. «Basta così, ok?! Basta con queste stronzate!» Sta urlando, ringhia come un leone.

«Cosa vuoi?» guardo lungo la stradina. Lei non c'è più.

Tiro un pugno alla sabbia, addio al mio tentativo di parlarle da solo senza che Gigi, Marco o quel coso peloso e tozzo gli girino attorno.

Come cazzo le è venuto in mente di mettersi con uno come lui? Sono certo che al mattino quando si guarda allo specchio pensa di essere un figo da paura.

Non te la meriti una come lei, non hai ancora capito un cazzo dalla vita. Quelle come lei te le devi guadagnare amico. La vocina nella mia testa è tagliente come un bisturi.

«Non farlo. Non rovinare tutto». La voce di mio fratello mi riporta al presente. Si alza in piedi e una smorfia gli attraversa la faccia. «Fanculo».

«Non rovino tutto» ripeto, però non riesco a convincere me stesso.

Certo che rovino tutto. Lancio il sasso e nascondo la mano. Faccio un passo avanti e centomila indietro. Cazzo, mi aveva capito meglio di chiunque altro senza guardarmi per più di cinque secondi.

«Cos'hai detto?»

«Ho detto che non rovino tutto!» La mia voce esce roca e incrinata da un nodo che mi stringe la gola.

Ti dirò una cosa Reeve, non vali il gioco.

«Ah no?» si passa una mano tra ai capelli che gli ricadono sulle spalle. «Non rovini tutto? Lo sai che sei proprio uno stronzo, invece? Stai facendo scappare l'unica persona sensata che è entrata a fare parte della tua vita da quando...»

«Non dirlo».

«Cosa? Da quando Megan è morta? Per tua informazione è successo cinque anni fa e stai galleggiando da allora! Sono stufo di fare finta che va tutto bene e che non è successo solo perché bisogna avere paura della tua cazzo di reazione! Non va bene proprio niente e ti dirò di più! Quella ragazza ha avuto il coraggio di dirti quello che noi abbiamo avuto paura anche solo di pensare per tutti questi anni! Ecco, quella ragazza dovresti tenertela stretta e non trattarla come una qualunque».

Apro la bocca.

Ci rimettiamo in piedi a fatica.

«Avanti! Dillo! Dillo che Megan è morta! AMMETTILO!»

Entrambi abbiamo il fiato corto come se avessimo corso per ore senza mai fermarci. Vorrei prenderlo a pugni fino a rompergli tutte le ossa della faccia.

«Dillo Reeve».

Apro la bocca, la richiudo. Mi sento un'idiota. Sono senza forze. In un altro momento gli avrei già tirato un pugno in faccia facendogli sputare almeno due denti.

In un altro momento? Ma cosa sto dicendo? Nessuno osa nominarla davanti a me. Non ammettono di averne parlato neanche quando li ho sentiti bisbigliare dall'altra stanza. Neanche quando mia madre parla con mio padre, chiude la conversazione e la sento singhiozzare per un'ora ogni volta senza riuscire a trovare una parola di conforto.

È questo che ho fatto per tutto questo tempo. Ed è tutta colpa mia.

Sei fortunato ad avere delle persone intorno che ti venerano come una divinità...

«DILLO CAZZO!» La sua voce manda in frantumi i miei pensieri.

Noah mi si scaglia contro come una furia che non riesco a contrastare. Mi colpisce allo stomaco con la spalla. La sento affondare fino a farmi venire voglia di vomitare me stesso.

Buio. Annaspo per tornare in superficie. Ho bisogno di aria.

Sono disteso in mezzo alla sabbia. Le sue mani stringono la maglietta ma so che vorrebbe stringere me. Mi scuote. «Dillo coglione! Dillo!»

Tento di nuovo. Apro la bocca. Esce un sibilo e all'improvviso un lampo nero mi oscura la vista. Noah mi sovrasta con la mano aperta che ha appena fatto mezzo giro, colpendomi dritto in faccia. «Dillo Reeve! Dillo o questa volta ti mollo un pugno». I suoi occhi sono iniettati di sangue.

Però non aspetta neanche che apra la bocca, sa che non dirò niente.

La mano si chiude a pugno, la vedo arrivare alla velocità della luce.

Penso al dolore che mi provocava da piccolo quando si metteva esattamente in quella posizione, sopra di me per farmi ammettere che ne avevo combinata un'altra delle mie avendo dato tutta la colpa a lui o a Paris.

E poi sento la mia voce. Prima giunge da lontano per farsi sempre più nitida alle mie orecchie. Mi accorgo che sto muovendo la bocca e che la voce è di nuovo capace di uscire. «È morta! È morta! È MORTA CAZZO!»

Poi un tonfo sordo.

Aspetto finché non sento che il dolore si propaghi, finché uno scoppio di luce non esploda dietro le palpebre.

Apro gli occhi.

Il pugno di Noah è atterrato di fianco al mio viso.

«Megan... Megan è morta» ripeto con un filo di voce.

Vedo le lacrime che gli solcano il viso e ha un'espressione così triste che mi fa venire voglia di piangere però non è possibile perché lo sto già facendo. Sento il mare che oscilla pericoloso, come se mi fosse entrato dentro e ora si stesse preparando per travolgermi una volta per tutte.

Con una spinta lo allontano, mi alzo e comincio a correre verso il mare. Inciampo e rotolo sulla sabbia. Urlo e impreco contro il cielo. Dentro di me la forza è ancora tanta, le mie gambe non riescono a stare ferme. Mi rialzo prima che i passi che sento arrivare mi raggiungano.

Corro e continuo finché non mi sento leggero come il vento, veloce come la luce. Immagino di essere trasparente e l'aria mi ripulisce da tutti quei massi che mi tengono incatenato al fondo del mare.

Corro e corro ancora. Urlo finché la gola non raschia e poi crollo. Torno a terra.

Il corpo, i sentimenti, tutto fa un male cane. Mi inginocchio, sento le lacrime scorrere ai lati del viso e poi lascio che la marea mi raggiunga, salga in cima.

Delle mani mi avvolgono, sento il familiare tocco rassicurante di mio fratello. Mi stringe la testa al petto, mi dice di stare calmo, mi culla.

E ho paura. Una paura fottuta.

«Stai calmo fratello. Ti voglio bene. Ti voglio bene».

«È morta Noah, non tornerà più». E dopo aver detto quelle parole vomito.

Vomito tutto quello che ho nella pancia. Tutti i sentimenti che ho cacciato in fondo, che ho negato. Vomito tutta la tristezza che sento da anni. Ho usato il mio stomaco come una soffitta. L'ho riempita di cianfrusaglie, persone vacue come ombre, esperienze forzate, alcool riparatore, senso di colpa e negazione.

Tutto per paura di sentirmi vuoto. Per paura di rendermi conto che lei non c'è più.

Non posso più andare avanti così. Noah lo sapeva. Mia mamma lo sapeva, papà, Paris, Aron e forse anche Kate lo sapeva.

Ma soprattutto è stata Bella ad accorgersene e senza chiederle nulla ha acceso la miccia e ora non riuscirò mai più a spegnerla.

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