Capitolo 55 - Partenze e sorprese

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Non so come lo abbiano convinto a starmi lontano ma quando mi sveglio, sono sola nel letto. Ho ancora i vestiti di ieri, la bocca impastata, i denti non lavati e una fame da lupi. Mi faccio una doccia e lascio che l'acqua porti via gli incubi e lavi il mio spirito pentito.

Il riflesso che vedo allo specchio non è il migliore che abbia visto. Ormai il mio metro di misura è quello che vedo quando Reeve mi gira intorno e i miei occhi diventano brillanti, la pelle radiosa, come se un suo semplice sorriso possa cambiare il mio intero universo. Un universo ormai vuoto perché lui non vorrà più avere a che fare con me. Non dopo quello che è successo, non dopo averlo umiliato davanti a Kate e a suo fratello. Non dopo avergli rinfacciato il suo unico vero punto debole: Megan.

Sei entrata nella rosa delle sue persone.

Certo, adesso però mi sono guadagnata il biglietto di sola andata per "esci dalla mia vita". Me lo merito. Se solo ripenso a cosa gli ho detto... Le parole possono uccidere. È vero.

Ora miei occhi sono gonfi, mi butto in faccia un po' di trucco giusto per non sembrare una che ha appena fatto a pugni col mondo. Mi preparo psicologicamente per uscire, giustificare la mia assenza e il mio malessere, ma quando esco nel patio, intorno alla piscina non c'è nessuno. Per un momento mi sento sollevata, però so che non potrà durare per sempre.

Prendo una boccata d'aria prima di entrare in casa, le finestre sono aperte e come sempre le tende svolazzano a ritmo del vento. Il sole è alto, quasi allo zenit eppure ho freddo.

«Permesso?»

Silenzio.

Per un secondo mi balza in testa la malsana idea che forse se ne sono andati via tutti, che si sono dimenticati di me.

Vado in cucina, mi verso una tazza di caffè bollente, mangio due brownie e torno equilibrata... almeno fisicamente.

Mi chiedo dove siano tutti, dove siano Reeve e Kate. Al solo ricordo mi sento sprofondare come se il castello si stesse distruggendo mattone dopo mattone.

«Ciao». Una voce improvvisa mi sbalza fuori dai pensieri. Sobbalzo sulla sedia e una macchia di caffè si allarga sul tavolo. «Scusa non volevo».

«Kate... Ciao!» mi giro verso di lei e strabuzzo gli occhi.

Appoggia una valigia di fianco al piede. Anche lei ha gli occhi gonfi e rossi. Penso che alla fine non siamo molto diverse.

«Cosa...?»

«Avevi ragione tu».

Scuoto il capo. «Kate, non avrei dovuto. Non erano affari miei e mi dispiace, davvero».

Sorride e si avvicina di un passo. «Ci ho pensato tutta la notte. È stato difficile rendermene conto, ma avevo bisogno che qualcuno mi desse uno schiaffo. Metaforicamente è ovvio».

«Non avrei dovuto giudicarti».

«Però avevi ragione. Ero patetica. Mi sono messa in ridicolo davanti a tutta la famiglia e a lui...»

Non so cosa dire quindi me ne sto zitta.

«Me ne vado». Lo dice anche se è una cosa ovvia, «Ho bisogno di cucire i pezzetti del mio cuore, di affrontare alcune cose in sospeso».

Deglutisco. Mi sento responsabile, è come se l'avessi cacciata da casa sua quando dovrei essere io ad andarmene.

«Sai, ero davvero innamorata di lui. Mi piaceva l'idea di avere una famiglia che si prendesse cura di me».

«Sì, questa famiglia è speciale. Crea dipendenza».

«Purtroppo io non ho avuto la stessa fortuna. Sono un casino. La mia vita è sempre stato un casino. Lo sai che ho una sorella?»

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