Capitolo 46 - Cuori spezzati

29 6 4
                                    


Ritraggo la mano come se la maniglia scottasse. Faccio due passi indietro e fisso la porta.

Non posso andare da lui. Cosa gli direi? Era davvero arrabbiato. Ripenso ai suoi occhi. La sua mandibola così affilata. Il cuore batte veloce come un treno. Non riuscirò mai a prendere sonno. Devo parlargli.

E cosa gli vuoi dire? Gli chiedo scusa, per esempio? Sono stata così stronza e insensibile. Ma forse devo lasciarlo sbollire. Sì, è una buona idea. Con la luce del sole tutto sembrerà più leggero e affrontabile.

Torno a sedermi sul letto però la mia testa ronza, piena di ipotesi e congetture.

Non volevo certo fare la ficcanaso o rompere la quiete fra noi.

Bello e tenebroso, ma come mi è uscita questa stupidaggine dalla bocca? Potevo menzionare il suo amore per i libri, la musica in comune... Sarebbe stato sempre meglio che dirgli che è insensibile e un donnaiolo.

Raggiungo il tavolo, discosto la sedia e mi siedo. Apro il pc. Affrontare la pagina bianca è sempre meglio che affrontare i pensieri vorticanti nella mia testa. Di solito funziona, funzionerà anche adesso. Le pagine più belle le ho scritte quando ero depressa per lui, perché non usare di nuovo questo "potere" per scrivere qualcos'altro?

Comincio a scrivere, lascio che le dita rimbalzino senza seguire un pensiero fisso: "Sono una scema. Sono una scema. Sono una scema". Chiudo il computer. Sto impazzendo.

Prendo una felpa dalla valigia – è la sua, l'unica che mi sono portata – ed esco dalla camera. Prendere una boccata d'aria mi farà bene.

La notte è silenziosa, il cielo è nero come inchiostro. Faccio un respiro profondo, due... Mi sento già meglio.

Intorno a me, il motel sembra vivere di vita propria. Vedo i rettangoli luminosi delle televisioni dietro le tende tirate. Alcune finestre invece sono vuote come caverne.

Infilo la felpa per tenere distante il freddo, per ricordarmi com'è quando Reeve è gentile e mi abbraccia. Ecco come mi piace vederlo. Quando diventa triste o pensieroso è una sconfitta.

Da questo pomeriggio la temperatura è scesa di parecchi gradi e sono felice di avere un riparo per la notte.

Mi siedo sulla panchina, incrocio le caviglie e piego la testa all'indietro. Le stelle ammiccano allegre anche se poi mi torna in mente una cosa che avevo letto da qualche parte. La luce che vediamo è solo un ricordo della stella che era. Sono tutte morte e quello che vediamo noi è solo un ricordo.

Scuoto il capo affranta. Perfino le stelle mi fanno sentire depressa. Non mi porterà da nessuna parte questo pensiero.

***

Il cellulare vibra sopra il tavolino. Sobbalzo e lo guardo come se fosse un oggetto alieno. Kate. Di nuovo. La batteria è quasi scarica e la notifica che lampeggia in alto sta a indicare che ci sono state chissà quante altre chiamate per me.

Kate è il passato che ha un nome che non riesco a pronunciare, che mi stringe la gola e affonda le sue unghie nella carne. Un passato non troppo distante ma comunque lì, alle mie spalle.

Perché non riesco ad andare avanti? Perché le sue lunghe dita sono strette attorno alla gola e continuo a girarmi e nonostante sia lì, palpabile, nego la sua esistenza. Sono un cieco che non vuole vedere. Un masochista che colpisce eternamente lì dove la ferita è aperta. Non si rimargina e non lo farà mai.

Ma come faccio se non riesco a pronunciare neanche il suo nome?

Sono così stanco. La mia testa pesa mille tonnellate.

Ricomincio  dall'AmoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora