Capitolo 47 - il sole che cancella tutto

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Infilo le mani in tasca e faccio un respiro, profondo. Mi fanno male i muscoli delle spalle, del collo, vorrei chiudere gli occhi e dormire per almeno una settimana. Ho male ovunque e una sensazione strana mi scorre sulla pelle. I miei passi sono più leggeri, il mio corpo è fatto di fumo e qualcosa si è decompresso dentro di me.

Da quanto tempo non mi capitava di sentirmi così?

Ho parlato di lei per la prima volta da tempo. Ora mi sembra di vederla seduta su quella panchina, mi sorride mentre i suoi capelli giocano con il vento.

Alzo gli occhi al cielo ed è come se ci vedessi di nuovo, i colori sono tornati...

Respiro a fondo. Non voglio perdere questa sensazione, non voglio che sparisca ma so che accadrà non appena varcherò la soglia della mia camera e sarò di nuovo da solo con me stesso.

E come se avesse udito i miei pensieri...

«Reeve?»

«Sì?»

«Ti andrebbe di guardare un film?»

«Con piacere. Vado a cambiarmi e arrivo».

***

Attendo che chiuda la porta per schizzare in camera. Afferro i vestiti sulla sedia e li butto dentro la valigia. Sprimaccio i cuscini e appiattisco le lenzuola. Non posso fare molto per rendere questa camera più carina perché i materiali a disposizione sono così brutti che si prendono a pugni vicendevolmente. Qui tutto sembra essere venuto da un'epoca lontana e polverosa.

Come la sua ragazza... Il pensiero è così veloce e affilato da farmi male.

Non pensavo che ciò che gli è successo potesse influire in questo modo, pensavo l'avesse superata. Ora le parole di suo padre Tom hanno un senso. Mi chiedo quanto dolore e senso di colpa ha attraversato. Al solo pensiero mi viene da piangere.

Mi guardo allo specchio, mi pettino i capelli. Metto uno strato di crema sulla pelle screpolata dal sole e dall'aria secca del deserto. Mi spazzolo i denti con foga e quando finisco, bussano alla porta.

«Permesso?»

Varca la soglia con i pantaloni grigi della tuta che gli ricadono sui fianchi in modo delizioso, la maglietta bianca gli mette in risalto il pallore della pelle e i muscoli delle braccia sono lunghi e affusolati.

«Qui?» Indica il letto.

Annuisco, prendo il portatile e lo sistemo tra noi. Mi stendo da un lato, lui dall'altro. Incrocia le caviglie.

«Decidi tu» dico.

Sceglie un film romantico anni cinquanta, uno di quelli dove ad un certo punto tutti si mettono a ballare e a cantare.

Li ho sempre trovati affascinanti, è come se in un modo o nell'altro ti regalassero la speranza che un giorno anche tu potrai trovare un amore per cui vale la pena cantare e ballare, anche se agli occhi altrui sembrerà strano e assurdo.

***

Mi sveglio a causa di un rumore simile a una grossa mosca rimasta incastrata tra le pieghe di una tenda. Apro gli occhi. La luce filtra dalla finestra e mi illumina come un faro in piena notte.

Mi avvolge i fianchi con un braccio e il respiro caldo mi accarezza la schiena.

Sorrido e mi metto seduta, facendo attenzione a non svegliarlo. Reeve mugugna qualcosa. Allungo una mano verso il comodino per afferrare il cellulare. Lo spengo e mi godo quel momento nella tranquillità apparente della camera. Apparente perché nel mio cervello c'è una festa in atto dove tutti cantano una canzone che si intitola: "Eravamo abbracciatiiii!"

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