Capitolo 7

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Mi sento braccata, come un animale pronto ad essere macellato, se la serata già era stata un disastro adesso stava per concludersi ancora peggio-"Ti sei trovato la puttana per la serata?"-è Brooke a parlare per prima, le unghie lunghe, smaltate di rosso, sono conficcate nell'avambraccio di Blake che sta fumando una sigaretta e mi fissa intensamente negli occhi-"che cosa hai detto scusa?"-domando alla bionda infuriata, se c'era una puttana, quella era lei-"la verità"-cinguetta lei fingendosi innocente-"No volevo solo fare conversazione quello che forse tu non sei abituata a fare"-risponde annoiato Sebastian , la faccia di Brooke si tinge di rosso per la rabbia e guarda di scatto Blake aspettando di essere difesa da lui, ma lui la ignora e si divincola bruscamente dalla sua morsa-"E dimmi, ti piaceva tanto fare conversazione con lui?"-mi chiede ora il demonio in persona avvicinandosi lentamente a me, posso sentire il profumo agrumato investirmi completamente e rimango sorpresa per la sua domanda-"in realtà preferirei evitare qualsiasi conversazione con tutti voi, in particolare però con te"-ammetto tagliente rimanendo incollata al mio posto, voglio mostrarmi spavalda, sicura di me, anche se le mie gambe non accennano a muoversi da lì.
Blake sorride, ma è un sorriso elettrizzato il suo, sembrava che dentro di lui fosse appena scattato un meccanismo pericoloso, un qualcosa che avevo innescato io e di cui mi sarei pentita amaramente-"lo vedremo"-dichiara ad un passo dal mio viso , posso sentire il suo respiro che profuma di liquirizia a tabacco, poi come se il mio corpo finalmente avesse ripreso ad ascoltarmi scatto velocemente ritrovando lucidità e mi allontano da quel girone infernale, ma prima che io possa mettere un adeguata distanza fra me e loro, il polso mi viene acchiappato in una presa salda, che quasi mi fa mal e sono costretta a fermarmi e a girarmi-"ricordati questo momento gattina, non lascio mai le cose in sospeso"-e Blake mi libera.

Sono le due del mattino quando rientro nel mio appartamento, fortunatamente anche Travor stava andando via dalla festa  ed era stato così gentile da accompagnarmi, avevo avvisato susanne dicendole che mi sentivo poco bene e che le avrei dovuto parlare il giorno dopo di Riley e del malinteso che si era creato.
Era stata comprensiva, ed adesso, come la peggiore delle stalker mi ritrovavo con il cellulare in mano, sotto le coperte , decisa a cercare su Instagram Blake Parker.
Dopo un po' di profili scartati, tutti di cinquantenni con cani, mogli e nipoti, trovo un profilo con l'immagine profilo completamente nera, come d'istinto, capisco che si tratta di lui.
Una volta aperta la pagina  davanti a me si palesano sei post, era divertente il fatto che il numero sei fosse spesso associato al diavolo.
Il primo post era risalente al 2015 ,raffigurava un graffito in una stazione ferroviaria, nessuna didascalia , il disegno mostrava delle fiamme nere che bruciavano un bambino.
Il secondo post era la pagina di un libro che conteneva questa poesia:

Ho visto Angeli
sprofondati all'Inferno ribellarsi,
bruciavano
le loro ali di cera,
candide come gigli.

Ho visto Angeli
incatenati a ricordi
nostalgici
estenuati dalle battaglie,
perdere la speranza.

Ho visto Angeli
dal viso incrostato dal sale,
intrappolati in oscene ragnatele
del Tempo,
come anello saldato sulla carne.

Ma la rassegnazione al vuoto,
emana lezzo di putrefazione e
come un palloncino sfuggito a un bimbo,
esplode...

prima di giungere al Cielo.
-Paul Mehis

Il terzo , i suoi occhi azzurri, glaciali come scaglie di Antartide , chiari come ciò che la sua anima non era.
Il quarto, raffigurava un mare notturno, sereno, ma pericoloso, con la luna chiara intenta ad illuminarlo senza riuscirci completamente.
Nel quinto e nel sensto vi era lui, figura intera, una foto era scattata da dietro mentre camminava per le vie di una New York notturna, silenziosa e sola, con un bomber addosso e la camminata spavalda, nell'altra era seduto in una scalinata trasandata di cemento, con affianco una birra ed un sorriso di scherno che lascava sfuggire la piccola fossetta sulla guancia.
Era un profilo interessante, sembrava più una forma artistica di espressione e se non avessi conosciuto l'elemento dal vivo, lo avrei quasi trovato interessante, enigmatico e profondo.
Seguiva una persona sola, una certa Anais Thompson.
Apro il profilo.
Era una ragazza dai capelli lunghi castani e gli occhi nocciola, sorridente , una spruzzata di lentiggini sul viso le donavano un'aria sbarazzina ed innocente.
Aveva tanti post, tutti raffiguranti lei con amici, con il suo barboncino marrone che avevo letto chiamarsi "cookie" e selfie buffi, era una bella ragazza, se mi avessero chiesto che cosa mi ricordava,  avrei detto che dallo schermo di un cellulare avevo percepito l'estate.
Ad ogni suo post c'era un like di Blake e questo mi faceva pensare che forse poteva essere una ragazza con cui lui aveva avuto un trascorso, un qualcosa che evidentemente si portava ancora dentro e che non aveva lasciato andare del tutto.
Se alla fine seguiva lei e non quella bambola gonfiabile di Brooke un motivo c'era.
Una cosa però catturò la mia attenzione, lei non lo seguiva.
Chissà che cosa è successo fra loro-mi chiedo fra me e me , presa dalla curiosità per poi poco a poco crollare in un sonno profondo con ancora in mano il cellulare ed il profilo di quel ragazzo ancora aperto.

"Adesso tu e Justin giocherete insieme ad un gioco bellissimo, vi nasconderete sotto il letto, farete silenzio e non vi farete trovare per nessuna ragione al mondo da nessuno, nemmeno se qualcuno dovesse chiamarvi. Se vincerete,  domani vi porterò da Duke's e potrete ordinare qualunque cosa vogliate"-la mamma è difronte a noi con i capelli arruffati, gli occhi segnati ed un sorriso tirato sulle labbra, io e mio fratello annuiamo energici , amavamo andare da Duke's, era un posto fantastico, c'erano piccole attività per bambini, frappé di ogni gusto e dolci a volontà. Avevamo dei bei ricordi lì, così io e Justin ci precipitiamo sotto il lettone di mamma e papà, mentre lei si allontana dalla stanza chiudendo la porta alle sue spalle, c'era tanta polvere ma era un compromesso da accettare , le regole erano chiare e noi desideravamo più di ogni altra cosa passare una giornata con mamma così.
Non succedeva spesso ma quando capitava era il paradiso, ci sentivamo bambini normali, i bambini che vedevamo nei canali televisivi.
Guardo mio fratello negli occhi, si copre la bocca con le manine ed io faccio altrettanto.
Sono dei passi pesanti sulla scalinata in lego però a farci sobbalzare, tre uomini iniziano a gridarci di uscire, la mamma continua a dire che siamo a giocare fuori, probabilmente al parco, ma loro non le credono ed iniziano ad aprire i mobili, lei trema,  sussulta , la sento singhiozzare e negli occhi verdi di mio fratello, come i miei, vedo il terrore.
Questo gioco non era bellissimo come ci aveva detto la mamma, iniziavamo ad avere paura e questo non era giusto.
Io e Justin ci stringiamo la mano, siamo uno di fronte all'altro, sdraiati sulla moquette sporca e polverosa, ci sono dei piccoli insetti neri che viaggiano nel pelo corto del tappeto e gli osservo per estraniarmi dalle grida  e colpi che provengono dalle altre stanze-"andrà tutto bene"-mima con la bocca Justin ed io sento delle lacrime calde rigarmi il viso.
Era così fra di noi, ci facevamo coraggio a vicenda ma finché saremo stati Uniti, saremo stati bene.
Poi succede tutto in un attimo, un uomo lo trascina fuori dal nostro nascondiglio per un piede, lui grida ed io mi tappo ancora di più la bocca per non iniziare ad urlare.
Lo porta via.
Mi viene da vomitare.
Questo era il peggior gioco di sempre.

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