11. Litigio e fuga

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NORA

Sono passati cinque giorni dal mio compleanno. Cinque giorni da quando ho pianto, da quando mi sono confidata con Luke. Mi stupisco di come in poco più di un mese sono riuscita ad affezionarmi così tanto a Luke. Sinceramente non me lo spiego.

Avrei voluto sapere a cosa si riferisse con “Forse c’è un modo”, ma era stato irremovibile. Non ha più parlato né con me, né con Justin dopo quella frase come se dovesse realizzare di averla detta sul serio.

Come se non bastasse in questi giorni sono tornata ad essere sedentaria in camera mia per prepararmi all’esame imminente, ma in mente ho solo Luke e le sue parole dolci sussurrate all’orecchio.

Per fortuna ci sono i miei peluche che mi fanno da pubblico durante le mie esposizioni orali e durante le mie, ormai frequenti, crisi di rabbia.

Justin ha finalmente trovato lavoro come segretario di un designer esattamente come voleva lui e io non posso che essere felice.

Questo non è l’unico motivo della mia felicità infatti per tutti questi giorni mi ha visto riversare la testa sui libri mentre ripeto continuamente termini e definizioni come preghiere.

In effetti ora che ci penso ringrazio anche il silenzio stampa di Luke perché se mi vedesse ora, si arrabbierebbe. Perciò sì, in questo periodo devo essere grata per molte cose.

Anche mamma è particolarmente tranquilla in questo periodo. Non mi disturba più se non per darmi i pasti in camera e questo mi motivo per rimanerci dentro senza mai uscire. A quanto pare ormai le dà fastidio anche che giri per casa.

Se le prime volte bussava alla porta per palesare la sua presenza e fermarsi per fare due chiacchiere, ora non bussa ma apre direttamente la porta e senza incrociare il mio sguardo poggia un bicchiere d’acqua e un piatto colmo sul pavimento.

Mi farebbe piacere mangiare tutto quel cibo se non fosse che l’ansia e lo stress mi fanno venire la nausea ogni volta che sento pronunciare la parola cibo.
Adesso che ci ripenso mi sta salendo il vomito. Mi devo calmare, accidenti.

E non solo per non pensare al cibo, ma anche allo studio. Ho ancora tempo per studiare tutto da capo, ma voglio essere perfetta all’esame. Voglio sentirmi talmente pronta da sapere anche argomenti in più così da essere più preparata dei professori.
Voglio rubare le domande dalla loro bocca ed esporre al meglio tutto ciò che in queste due settimane ho studiato.

I pensieri diventano ossessivi nella mia testa e si ripetono in loop a voce troppo alta. Cosa succede? Non mi sono mai sentita in questo modo così… agitato.

I battiti accelerano e la gabbia toracica si alza e si abbassa in un ritmo troppo irregolare. Il naso cerca di incamerare più aria possibile ma mi viene difficile e, come per istinto, apro la bocca per respirare meglio.

Mi porto la mano al petto e tento di calmarmi, ma la testa gira e le lacrime scendono dagli occhi come fiumi. Avverto paura e tristezza. Mi sento debole, incapace e se fino a un secondo fa mi sentivo in cima all’Everest, ora credo di essere negli Inferi.

Non è una bella sensazione, non lo è per niente e anche se i miei respiri si sono calmati sento i singhiozzi strozzarsi in gola che comincia a bruciare molto. Sembra incendiata eppure preferisco questo dolore rispetto a prima in cui non ero più padrona del mio corpo, ma al contrario era lui che controllava me. 

Proprio in quel momento sento la porta di casa aprirsi.
In questi giorni mio fratello torna dal lavoro poco dopo cena, verso le 21.00 perché si ferma due ore in palestra.

Mi affretto a sistemarmi i capelli e a rendermi presentabile; lui non deve sospettare di nulla. Non solo di questo momento, in cui l’ansia ha preso il sopravvento, ma anche delle mie cattive abitudini a passare tutto il giorno in camera.

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