capitolo 45

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Rosie

Sbatto le palpebre più volte per adattarmi alla luce del sole. 'Dove mi trovo?'

Giro la testa a destra e a sinistra per riconoscere il paesaggio circostante.

Alla mia destra, appoggiato vicino ad un albero c'è un ragazzino. Ha le braccia incrociate al petto, le ciocche di capelli neri gli cadono sulla faccia e un'espressione visibilmente scocciata. Il piede appoggiato al tronco.

Distolgo lo sguardo dal bambino puntandolo davanti a me. L'edificio bianco che si erge è troppo familiare affinché io non possa riconoscerlo.
Sono davanti l'entrata dell'Orbitrix.

'Perché sono qui? E come ci sono finita?'

Mi avvicino verso il ragazzino, non si accorge della mia presenza. Schiarisco la voce ma mi sente.

«Emh… ciao?» Non si smuove. Mi ignora.

L'enorme porta di legno viene aperta di scatto. Attira la mia attenzione e in contemporanea anche quello del ragazzino. Entrambi guardiamo uscire una bambina, il tonfo sordo che procura la porta fa distaccare il bambino dai capelli neri dalla corteccia.

Muove un passo in avanti e trapassa la mia figura senza problemi. Sgrano gli occhi per il terrore e spalanco la bocca. Rimango ferma, sbigottita. Di scatto mi giro, allungo una mano verso il ragazzino, come a volerlo fermare, ma essa attraversa la sua spalla.

E solo ora noto il sangue macchiarmi la pelle. Mi guardo le mani rosse, abbasso la testa quel che basta per riuscire a vedere la maglia completamente sporca del mio stesso sangue.

Mi hanno sparato, ricordo.

Mio padre mi sparato.

Mio padre mi ha ucciso, realizzo con uno strano groppo allo stomaco.

Una gola viene rischiarata e i miei pensieri ricadono sulle due figure più piccole.

Lei è seduta per terra, le gambe portate al petto, la testa di poco alzata per guardare lui.

Lui si siede a gambe incrociate, porta due dita sul mento della bambina e le alza il capo per guardarla meglio. Schiudo la bocca quando le vedo il viso.

Sono io.

Nove anni in meno, ma sono io.

'Se quella sono io, lui non po' essere che… Blake. Sto rivedendo il nostro primo incontro.'

Mi avvicino ai due trovandomi di lato, in mezzo. Così da poter vedere entrambi.

«Cosa c'è che non va?» Domanda il piccolo Blake. La voce più dolce e stridula di quella attuale.

La piccola me stringe le mani, le lacrime che minacciano di uscire dai suoi occhi ma le trattiene. Incrocia le gambe.

Lo guarda un po' ammirata e come darle torto. Cavolo era bello pure da bambino.

«Io… io vorrei solo poter cambiare lavoro» le parole le (mi) escono incerte e basse, come se avesse paura di pronunciarle ad alta voce.

Il piccolo Blake si acciglia. «Sei ancora piccola per sapere quale lavoro farai.»

Mi ritrovo a scuotere la testa come tanti anni prima. Mi sembra quasi di vedere il mio riflesso allo specchio.

«Non è così facile, ecco» la voce le si rompe per le lacrime trattenute.

Una lacrima bagna la guancia della me bambina che si affretta a cancellarla. Il piccolo Blake le prende le mani, stringendole nelle sue.

«Piangere fa bene, ti rende quello che sei. Non trattenere le lacrime.»

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