Capitolo 12

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Sospetto che la luce sarà simile alla respirazione dopo l'annegamento, o meglio, simile a una mano che immerge lentamente la testa nell'acqua nera. Una sorta di resurrezione. O forse, una rinascita.

-Safia Al-Jabar, 1915


Non riusciva a dormire.

Si girava e rigirava al suono delle onde che si infrangevano e della pioggia che batteva contro il vetro della finestra, si alzò e scese dal letto e camminò per la stanza. Si strinse le radici dei capelli e chiuse gli occhi. Aveva silenziato la stanza per far tacere i rumori della tempesta, ma i fulmini lampeggiavano ancora, creando ombre minacciose sulle pareti. La conversazione con Malfoy e i ricordi della guerra si susseguivano nella sua testa.

Sarebbe stato pericoloso prendere un sonnifero quando era così angosciata– si sarebbe messa nelle mani di un sonno disturbato. Così, invece, provò l'Aritmanzia e fece calcoli inversi nella sua mente, cercando di mettersi in posizione mentre seguiva rune e schemi più e più volte nella sua testa.

Ma si avvicinavano le due di notte e la combinazione della tempesta e del continuo ripetersi della guerra nella sua mente, la costrinse ad aprire il cassetto laterale, a svitare la fiaschetta e a buttare giù il resto della pozione. Nel giro di pochi secondi, o forse di ore, Hermione non lo sapeva, il suo corpo si sciolse nel letto, le membra pesanti, e si addormentò misericordiosamente.

Hermione lanciò una maledizione pungente a Harry, il cui volto si gonfiò immediatamente. Mani unte la afferrarono e Ron emise un gemito di dolore. Cercò di divincolarsi e si diresse verso il corpo accartocciato di Ron, gridando, «Lascialo stare!»

Sentì il rumore di una mano che le schiaffeggiava la guancia prima che la sua testa scattasse a destra.

«Stai zitta!» ringhiò una voce nauseabonda e calda vicino al suo viso. L'uomo sconosciuto le avvolse una mano corpulenta intorno ai capelli e le tirò ferocemente la testa all'indietro. Le lacrime le punsero gli occhi e un dolore bruciante le attraversò la guancia.

Ci aveva provato così tanto. Settimane e settimane in una tenda, percorrendo distanze infinite, cercando di capire dove fossero gli Horcrux. Le mancava il comfort della Tana, desiderava il calore di un pasto cucinato in casa davanti al camino, aveva voglia delle braccia dei suoi genitori intorno a lei.

Voleva i suoi genitori. Voleva andare a casa.

Ma poi le figure in ombra si stavano avvicinando Harry, e sentì una voce familiare– Greyback– dire qualcosa sull'evocazione di Voldemort, e il cuore di Hermione balzò fuori dalla gabbia toracica.

Greyback.

Non poteva fermarsi ora. Doveva fare qualcosa— doveva proteggere Harry.

Harry era tutto, al di sopra di lei, di ogni dolore o stanchezza che provava.

Erano ancora concentrati su Harry, cercando di capire chi fosse sotto il gonfiore. «La Mezzosangue di Potter,» dissero gli altri mentre la prendevano in consegna, ma lei si fissò sulle mani che spingevano indietro la frangia di Harry per guardare la cicatrice ormai deformata. Aveva una sola possibilità, un solo tentativo, perché una volta che avessero iniziato a correre, avrebbero solo confermato i loro sospetti.

Non ci pensò due volte.

«Stupeficium!» urlò a Greyback e Harry indietreggiò, allontanandosi dal corpo cadente e congelato del licantropo. Gli altri erano confusi, ma lei stava già lanciando un'altra maledizione, trascinando Harry in piedi. Ron si arrampicò verso di loro, con un'espressione di puro shock mentre la guardava.

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