Capitolo 18

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Il trono, come una bocca nera pronta ad inghiottire ogni cosa, risplendeva davanti a Edric con un fascino che non poteva essere ignorato. L’intera sala sembrava un luogo in cui il tempo stesso si fermava, avvolta da un’oscurità che pulsava come un cuore malato. Ogni angolo, ogni angustia della stanza sembrava destinata a risucchiarlo dentro, a condurlo verso un destino che lui non era più sicuro di volere. Le pareti sembravano muoversi, come se la stessa struttura del castello fosse viva, una prigione di ombre che si stringevano sempre più attorno a lui. L’aria era satura di una tensione palpabile, come se fosse forgiata da silenzi impossibili da colmare, e il suono dei suoi passi sulla pietra lucida risuonava con la forza di un memento. Ogni passo che faceva lo avvicinava al trono, ogni respiro lo rendeva più consapevole della scelta che stava per compiere.

Libertà, quella parola che Morax gli aveva sussurrato, risuonava nella sua mente come un canto sinistro, un richiamo che sfiorava la mente e il cuore di Edric con promesse che sembravano impossibili da ignorare. La libertà di essere se stesso, senza più le catene di un nome che gli stava stretto, di un destino che non aveva mai scelto. Eppure, mentre guardava quel trono, sentiva un senso di oppressione che cresceva dentro di lui. Ogni fibra del suo corpo gli urlava che non era quello che voleva. Non questo.

Il trono non era solo un seggio di potere; era il simbolo della sua perdizione, della sua rinuncia. Sentiva la sua mente divisa tra la possibilità di abbracciare una forza sconfinata, un potere oscuro che avrebbe potuto cambiarlo per sempre, e la consapevolezza che quella strada non avrebbe mai portato a qualcosa di buono. Morax non aveva mai parlato di cose belle, non gli aveva mai promesso pace, né amore, né speranza. Gli aveva promesso solo potere, il potere assoluto. Ma il prezzo era troppo alto, e Edric lo sapeva.

Era un ragazzo che aveva sempre sognato di essere qualcosa di più di quello che la sua famiglia e la sua corte gli avevano imposto. Un principe senza corona, senza un regno che lo accogliesse come vero sovrano. Cresciuto nell’ombra di un padre troppo distante e di una madre che non aveva mai trovato tempo per lui, Edric aveva sempre sentito di essere qualcosa di incompleto. La solitudine era la sua compagna di viaggio, il vuoto era la sua unica costante. Ma mentre camminava verso il trono, qualcosa di più profondo si stava risvegliando in lui, un sentimento che non riusciva a definire completamente. Non sono questo. Non posso diventarlo.

Le parole di Morax riecheggiavano nella sua mente, ma non riuscivano più a trovare il terreno fertile su cui crescere. «Non sei più il principe che conosci, Edric,» gli aveva detto il demone, con una voce così morbida che quasi sembrava carezzevole, «qui sei qualcosa di più. Non c’è più bisogno di essere chi ti hanno detto di essere. Prendi il potere, abbraccia ciò che sei destinato a diventare.»

Non voglio diventare ciò che sei. Questo pensiero si fece largo nella mente di Edric, come un faro che lo guidava lontano dalle tenebre. Non voleva un potere che gli rubasse la sua umanità, la sua essenza. Non voleva essere come Morax, un'entità che sembrava vivere solo per il caos e la distruzione. Cosa sarebbe rimasto di lui se avesse ceduto? Un principe senza regno, un uomo senza cuore, una creatura del buio che non aveva più nulla da dare se non paura. Eppure, quel trono lo chiamava, con una voce che sfiorava il suo spirito, tentandolo, tentando di abbattere le sue resistenze.

Non c'era più tempo per esitazioni. Morax lo stava osservando con un sorriso che non prometteva nulla di buono. La sua figura era alta e snodato, le lunghe braccia parevano allungarsi come rami di un albero contorto, mentre gli occhi ardevano di un fuoco antico, come se avesse visto tutto e niente fosse più capace di sorprenderlo. Il demone non si mosse, ma sembrava essere ovunque, e il suo sguardo non lasciava scampo. Edric sentì il suo respiro farsi più pesante, e i battiti del suo cuore acceleravano ancora una volta, come se il suo corpo avvertisse l'urgenza del momento.

Edric alzò lo sguardo e guardò il trono. Era più di un semplice oggetto di potere; era un'entità a sé stante, viva, pulsante. La sua superficie, un materiale che sembrava mescolare oscurità e materia, cambiava forma ad ogni istante. A tratti sembrava fondersi con il pavimento di pietra nera, altre volte sembrava sospesa in un punto indefinito dello spazio. Non era solo un trono, era una bestia che attendeva di inghiottirlo, di farlo suo. Eppure, Edric non riusciva a guardarlo senza un brivido di orrore.

Morax parlò, il tono della sua voce più sereno che mai. «Perché tentenni, Edric? Il trono è già tuo. Il potere è già nelle tue mani. Cosa aspetti?»

Edric sentì il suo corpo lottare, il suo spirito diviso tra il desiderio di cedere e la necessità di resistere. Ma mentre il pensiero del trono si faceva sempre più forte, un altro pensiero lo attraversò, più chiaro di tutti gli altri, come un lampo nel buio. **Anemone.** Il pensiero della sorella, della ragazza che aveva amato più di ogni altra cosa, gli fece fermare il cuore. In quel momento, ogni altro pensiero svanì, ogni altra incertezza si dissolse.

Senza pensarci, senza più curarsi di Morax o del potere che gli veniva offerto, Edric alzò lo sguardo, il volto segnato da un’espressione che non lasciava dubbi. «Dove... dove è Anemone?» La sua voce era spezzata, quasi una supplica, ma anche una richiesta di verità. Sentiva che nulla sarebbe stato più importante di quel momento. Anemone, la sua unica famiglia, la sua unica ancora di salvezza.

Il demone lo fissò a lungo, e per un istante sembrò che il mondo intorno a Edric si fermasse, come se il tempo stesso stesse aspettando una risposta. Poi, lentamente, Morax si avvicinò, i suoi occhi scintillanti di una luce gelida e crudele. Il suo sorriso, che aveva sempre portato con sé il suono di una risata malefica, si fece più amaro, più minaccioso.

«Lei?» La voce di Morax era bassa, quasi un sussurro, come se volesse giocare con le sue paure. «Lei non è più qui. Non c’è nulla che tu possa fare per lei, Edric. La tua scelta era già scritta. Hai voluto cercare il potere, e ora non c’è più posto per i legami familiari. Non c’è più posto per *nessuno*.» Il demone sapeva di aver fatto leva sul suo punto debole. Lo sapeva e ne stava approfittando. Credeva, che Anemone fosse ancora nella cella e ovviamente non sapeva nulla della sparizione ma , la paura del principe era musica per le sue orecchie.

Un’ondata di gelo si abbatté su Edric, come un peso che gli strappava l’anima. Non riusciva a respirare, il suo corpo si paralizzò. Non più.Quella frase lo annientò. Non c’era più speranza, non c’era più futuro. Anemone, la sua Anemone, non c’era più. E lui non poteva fare nulla per salvarla. La sua mente si stava sgretolando, la rabbia e il dolore lo travolgevano come onde impetuose.

Non era più il principe. Non era più niente.

Con un grido soffocato, Edric si volse verso il trono, lo sguardo carico di rabbia. «No!» urlò, ma la sua voce non riusciva a liberarsi dal peso del dolore. Il suo corpo tremava, e ogni passo verso il trono sembrava essere un passo verso la sua fine. Perché?,  si chiese, mentre sentiva il respiro affannato, mentre il cuore gli batteva all’impazzata. Perché tutto questo?

Morax lo osservava con un sorriso trionfante, quasi divertito dalla sua sofferenza. «Sei stato troppo debole, Edric. L’uomo che un tempo eri non esiste più. Ora sei una parte di qualcosa di più grande. Una parte di me.»

Ma Edric non ascoltava più. Non c’era più spazio per le parole del demone, né per le suemenzogne. In quel momento, una sola certezza lo attraversò con forza devastante: non poteva diventare ciò che Morax gli stava chiedendo. Non poteva arrendersi a tutto ciò.

Si voltò, il corpo scosso da un brivido che gli percorreva la schiena. Il trono non era per lui, e mai lo sarebbe stato.

Era tempo di fuggire.

Con un respiro profondo, Edric corse. Non guardò più indietro. Non pensò a nulla se non alla sua unica via di fuga. Le ombre cercavano di stringerlo, di inghiottirlo, ma lui non si fermò, non si voltò. Non c’era più niente che potesse trattenere il suo cuore da quella corsa disperata verso la libertà. Libertà. Forse, finalmente, quella parola aveva un senso.

Eppure, nel buio della sala, Morax rimase lì, immobile, sorridendo.

Angolo autrice: Ormai aggiorno tanto per. Ho terminato la storia, in realtà e volevo fare sapere come procede anche, a voi, lettori.. perciò datemi riscontro... ditemi cosa dovrei cambiare.

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