15. Apollo e Ade

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Cinque anni terribili.
Erano appena trascorsi i cinque anni più terribili che Apollo avesse mai vissuto. Il che era tutto dire, visto che aveva passato circa dodici anni negli Inferi, ad incontrare camerieri e servi zombie, alcuni ad un livello avanzato di decomposizione.
Non poteva lamentarsi del luogo in cui si trovava. Certo, la fucina di Efesto era bollente, ed emanava sgradevoli odori di olio per motori e qualcosa di perennemente bruciato, ma almeno poteva uscire all'aperto tutti i giorni, quando prendeva una tazza di tè con un figlio immortale di Efesto.
Ed Efesto era anche un tipo simpatico, quando non borbottava tra sé e quando non urlava cose in codice al figli, e quando non aveva l'aria da pazzoide. Apollo era riuscito ad abituarsi a tutto questo, ma gli Inferi, Ade, gli mancavano.
Ripensandoci, quei cinque anni non erano stati poi così male. Efesto gli aveva lasciato l'opportunità di andare al Campo Mezzosangue per pochi minuti a guardare i suoi numerosi figli intenti ad allenarsi con il tiro con l'arco, o indaffarati a curare giovani semidei imbecilli che si erano fatti infilzare con la lancia da altri fratelli.
E aveva anche avuto modo di incontrare suo figlio Will, un pomeriggio al centro commerciale. Will non l'aveva riconosciuto, naturalmente, e Apollo lo aveva guardato mentre si aggirava tra i negozi con la figlioletta Christal per cercare il regalo perfetto per il marito.
Era stato un momento magico. Apollo si era reso conto di essersi comportato in modo schifoso con tutti i suoi numerosi figli, e forse era una fortuna se non aver più ingravidato umane negli ultimi venti anni.
Ma non erano sempre stati rosa e fiori quei giorni trascorsi nella fucina di Efesto. Zeus aveva detto chiaramente al fabbro di trattare Apollo come un servo qualunque, ed Efesto aveva obbedito volentieri agli ordini del padre.
All'inizio Apollo era stato molto contrariato all'idea di tirare fuori dal forno strani parti di macchinari, bruciare gomme o fondere spade per creare altre spade. Si era divertito solo quando Efesto gli aveva mostrato come costruire un arco perfetto, con tanto di frecce perfette. Ma per il resto, le sue povere mani si erano riempite di tagli e ferite, gli erano venuti i calli e certe volte aveva le dita così gonfie da non riuscire nemmeno a piegarle senza gridare.
Nel corso delle settimane, i lavori datigli da Efesto si facevano sempre più sporchi, e dopo un anno di lavoro Apollo non si preoccupava più di trovare del grasso sotto le unghie, i palmi arrossati e indolenziti, o qualche ciocca di capelli bruciacchiata.
Con tutto quel lavoro, Apollo era riuscito a distrarsi da due pensieri che, molto spesso, lo avevano portato a martellarsi la mano.
Il primo, naturalmente, era Ade. Era preoccupato per lui, e il signore dei morti gli mancava davvero tanto. Spesso si lamentava per essersi comportato da coniglio di fronte al padre, e anche per non aver pensato che Ade sarebbe riuscito a sopravvivere a qualsiasi torto Zeus volesse fargli come punizione per aver avuto una relazione con lui.
Il secondo, invece, che lo tormentava soprattutto la notte, era il sesso. Non solo quello con Ade, ma in generale. Si era sforzato di non flirtare con il figlio di Efesto, sposato, e con nessun altro. All'inizio era stato difficile, poi molto difficile, e verso i tre anni di astinenza sessuale – più che altro di rapporti completi – tutta la sua frustrazione era sfumata e aveva iniziato a godersi di più il luogo che lo circondava.
La notte si lasciava andare a fantasie erotiche su Ade. Se lo immaginava nudo nel suo letto, in attesa del suo ritorno, con un mazzo di rose rosse. Pensare cose del genere lo facevano sorridere e riusciva ad affrontare un'altra settimana nella fucina di Efesto con un enorme sorriso stampato in faccia.
Per tutto il periodo passato nelle fucine di Efesto, Apollo tenne il conto dei giorni che lo separavano dal suo incontro con Ade. 1826 giorni. Sufficienti per farlo impazzire.
Il figlio di Efesto – Apollo non gli aveva mai chiesto il nome per evitare sogni erotici su di lui – gli aveva fornito i calendari e i pennarelli per segnare le X sui giorni trascorsi.
E ora, dopo 1826 giorni, finalmente, poteva tornare negli Inferi.
Non aveva mai creduto possibile di essere felice per un fatto del genere.

Apollo salutò Efesto e il figlio con un abbraccio, gustando già la gioia che Ade gli avrebbe fatto provare quella sera. Non vedeva l'ora di lasciarsi raccontare come erano stati tetri quegli anni senza di lui. Non vedeva l'ora di sentire il suo calore tra le braccia e il suo corpo nudo stretto al suo.
Voleva riprendere ad amare Ade tutti i giorni come aveva fatto un tempo. Non desiderava altro. Non desiderava altri che non fossero Ade.
«Spero tornerai presto a rifarci visita.» sorrise il figlio di Efesto, cordiale e gentile.
Efesto fissò torvo il figlio.
Apollo si sforzò di non ridere. Sebbene avesse impiegato un mese abbondante a smettere di lamentarsi per tutto quanto, era sempre stato un peso per Efesto, soprattutto quando aveva involontariamente staccato la corrente del macchinario che il dio stava costruendo, mandando in fumo ore e ore di progettazione.
Mentre padre e figlio si scoccavano occhiatacce e insulti silenziosi, Apollo lanciò un'occhiata all'orologio. Ade sarebbe apparso da un momento all'altro per riportarlo negli Inferi. Si promise di non saltargli al collo, né di sbaciucchiarlo o di toccarlo. Efesto non conosceva il vero motivo che aveva costretto Zeus a spedire il dio del sole nella sua fucina, e non intendeva farglielo sapere.
Apollo batté le palpebre, e nel mentre di fronte a lui comparve la figura slanciata del signore dei morti, vestito di scuro come sempre. Nel vederlo, il cuore di Apollo fece una capriola mentre il suo cervello lo costringeva a restare fermo.
«Ciao.» disse Ade, con il suo solito tono ombroso. I suoi occhi si posarono prima sul figlio di Efesto, poi sul dio stesso e infine su Apollo.
In quei grandi occhi neri Apollo si rivide riflesso. Scoprì di ricordare alla perfezione tutte le volte che avevano fatto l'amore insieme, e in ultimo la settimana di vacanza in giro per l'Europa. Quanto gli mancavano quei momenti.
Apollo iniziò a sorridere, ma Ade aveva già distolto lo sguardo.
«Andiamo.» disse solamente, porgendogli il braccio. Apollo vi posò la mano sopra salutando i due fabbri, e Ade lo portò negli Inferi senza perdere altro tempo.
Apollo si guardò attorno nella sala che conosceva. Non alla perfezione, ma ricordava molti dettagli. Fissò il trono di Ade, quello vuoto di Persefone, poi si voltò verso il signore dei morti con uno splendente sorriso.
«Allora...» iniziò il dio del sole, ma Ade lo fermò facendo un cenno ad uno dei suoi servi.
«Riportalo nelle sue stanze.» disse, andando a prendere il suo posto sul trono e tornando al suo noioso lavoro.
Apollo lo guardò a bocca aperta mentre il cameriere zombie lo costringeva a procedere.
Ade non gli aveva nemmeno rivolto la parola.

* * * *

Due anni.
Il tempo che impiegò Ade per dimenticarsi di Apollo e tornare strisciando da Persefone, proprio come la figlia di Demetra aveva previsto.

Inizialmente, Ade aveva pensato che sarebbe riuscito ad aspettare Apollo. Nei primi mesi, il dio del sole gli mancava così tanto da fargli male al cuore. Ogni giorno viveva la vecchia routine, prima che Apollo gli entrasse a forza nel cuore e si facesse amare completamente da lui.
Attendeva il ritorno di Apollo con il cuore traboccante di perdono. Lo avrebbe perdonato per come si era comportato nei confronti di Zeus. Infondo lo aveva fatto per lui, e lui era stato uno stupido a non capirlo subito. Apollo non si sarebbe mai sognato di dire quelle cose al padre visto il grande amore che provava nei suoi confronti. E Ade aveva sbagliato a credergli.
Di solito gli anni passano veloci per gli dei. Loro non invecchiano, il tempo scivola sulla loro pelle senza scalfirgli. L'unica cosa che cambia è il mondo, e i loro figli, che crescono, vivono, muoiono.
In quegli anni Ade vide i suoi figli sistemarsi una volta per tutte con i loro mariti. Le loro famiglie si erano allargate. Hazel e Frank avevano tre figli stupendi, ed erano in attesa del quarto. Nico e Will avevano adottato due figli, Christal e Aaron, e a quanto era riuscito a capire dall'ultima visita nei sogni del figlio, Nico insisteva per adottare un altro bambino.
I suoi figli erano felici, e Ade era contento che lo fossero. Nel corso di tutta la sua vita non aveva mai avuto molti figli, e solo due di essi, ora, erano felici con la vita che si erano costruiti.

Quei cinque anni per Ade non passarono affatto velocemente.
Riusciva a ricordare ogni minuto passato sul suo trono ad ascoltare le anime dei defunti. Ricordava i tanti litigi avuti con Persefone, e infine la loro riappacificazione.
Ricordava anche il dolore immenso che Apollo gli aveva fatto vivere mentre parlava con Zeus su nell'Olimpo.
Ricordava come si era sentito felice quando lui e Apollo avevano fatto sesso nelle stanze del dio del sole, decidendo di affrontare insieme qualunque punizione avesse in serbo per loro Zeus.
Ricordava come si era sentito a terra quando Zeus aveva spedito Apollo nelle fucine di Efesto, e ricordava quando gli aveva rivolto quelle odiose parole.
«Cinque anni in sua assenza saranno una punizione adeguata.»
Inizialmente erano stati una punizione. Erano passati come dovevano passare. In silenzio, in solitudine, con il rimorso di non aver fatto di più per tenere Apollo per sé. Ma poi la punizione era sparita. Forse Zeus aveva fatto bene a sorridergli in quel modo prima di lasciarlo tornare negli Inferi.
Forse Zeus lo sapeva che il suo amore per Apollo era finto, dovuto solamente all'attrazione fisica e al fatto che Apollo era stata l'unica persona della sua intera esistenza a farlo sentire bene, accettato, amato.
Di sicuro Zeus doveva saperlo.

Due anni dopo l'inizio della punizione di Apollo, il cuore di Ade riprese a battere per la moglie. Si era tenuto alla larga da lei e dal suo odio per anni, ma poi l'aveva cercata per parlare. Gli argomenti erano variabili, ma non si soffermavano mai su Apollo, Ade aveva un disperato bisogno di pensare a qualcosa che non fosse lo splendido dio della guarigione.
E dopo mesi passati a chiacchierare, Persefone lo aveva stretto di nuovo tra le sue braccia.
E l'abbraccio aveva portato al bacio.
E il bacio aveva fatto rifatto nascere i vecchi sentimenti perduti di Ade.
E così facendo si era ritrovato a fare di nuovo l'amore con la donna che aveva scelto di sposare secoli prima. La donna che lo aveva fatto dare di matto per anni.

Quando scoccò la fine dei cinque anni della punizione di Apollo, Ade andò a prenderlo. Ormai non provava più niente per il dio della musica.
O almeno così credeva.
Gli porse il braccio per portarlo negli Inferi, e quando Apollo lo afferrò, Ade riconobbe quel calore che negli anni gli era tanto mancato. Sentì il suo cuore esplodere di gioia a quel semplice contatto, e lottò contro i suoi stessi sentimenti mentre Apollo gli sorrideva nella sala del trono.
«Riportalo nelle sue stanze.» disse ad uno dei suoi servi. Forse Apollo fu sul punto di dirgli qualcosa, o forse no. Non voleva ascoltare il suono di quella voce, la sua musicalità.
Non voleva vederlo. Non voleva sentirlo. Non voleva amarlo.
I suoi sentimenti erano così confusi... Si sedette sul suo trono e riprese il suo lavoro, ignorando completamente Apollo che usciva dalla sala accompagnato da un servo. Non riuscì a fare ameno di lanciargli un'occhiata. Se solo quella punizione fosse durata di più...
Si passò nervoso le dita tra i capelli. Perché aveva vissuto gli ultimi anni pensando di aver completamente risolto il suo amore per Apollo, se poi alla fine non era vero? Perché bastavano solo cinque minuti in sua compagnia per far di nuovo nascere quella passione che aveva tentato di soffocare?

Ade e Apollo - Amore negli InferiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora