7. La stella di Apollo

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Ade non si era mai annoiato così tanto in tutta la sua vita, il che era tutto dire, visto che era il signore dei morti, capitanava gli Inferi, ascoltava per ore i morti che si lamentavano della loro vita orribile, e via dicendo.
L'unica cosa che lo rallegrava erano le continue lettere di Nico provenienti dal mondo umano, in cui gli raccontava la sua vita che continuava a cambiare. Nico viveva nel mondo umano ormai da tre anni, lui e Will erano sempre più felici, e sembrava che niente, né lo studio increscioso di Will, né la scoperta dei passatempi umani per Nico, riuscisse a scalfirli.
Con nostalgia Ade pensò ai mesi vissuti felicemente in compagnia del dio del sole. Non vedeva Apollo da quando era uscito dalla sua stanza, più di sei mesi prima. Aveva affidato ai suoi servitori di portargli viveri e di cambiargli la biancheria. Non si era più avvicinato a quel corridoio per il terrore di incontrarlo.
Con un sospiro, si voltò a guardare sua moglie, la regina degli Inferi. Come al solito, Persefone era persa nei suoi pensieri. Di sicuro non vedeva l'ora di tornare dalla madre, e liberarsi di lui per altri quattro mesi.
Persefone notò che la stava guardando e gli sorrise, ma si affrettò a cambiare espressione. Ade tornò a fissare le anime che attendevano una punizione.
Apollo gli mancava in maniera smisurata, ma il suo orgoglio, e il suo amore per Persefone, riuscivano a soffocare quella mancanza. E dire che, se avesse voluto, poteva benissimo scendere quei dodici piani che lo avrebbero portato al tredicesimo, dritto tra le braccia di Apollo.

Apollo posizionò l'asso di picche in cima al suo castello di carte e questa volta evitò di battere le mani per l'entusiasmo. L'ultima volta che l'aveva fatto, più o meno mezz'ora fa, il castello era andato distrutto e lui si era messo a lanciare dardi per la stanza, prendendo in pieno il pianoforte. Per fortuna, non si era rotto.
Si alzò lentamente dal pavimento e guardò il suo lavoro, sentendosi solamente in parte come un malato schizofrenico chiuso in un manicomio. A dargli conforto solo la mancanza della camicia di forza.
Apollo andò a sedersi sul letto, sorseggiando una lattina di Coca-Cola e fissando la sua camera. Quando era tornata Persefone, gli era stato concesso un altro appartamento, composto da quattro camere e due bagni ripiene di ogni confort. Sembrava che la moglie di Ade desiderasse farlo felice, anche se non ne capiva bene il motivo. Forse aveva parlato con Zeus, che voleva assicurarsi che stesse bene.
Apollo utilizzava una di quelle quattro camere come la sua personale stanza della musica, insonorizzata da Persefone stessa. La seconda camera era piena di bersagli per farlo esercitare con il tiro con l'arco. Nella terza c'era un enorme palcoscenico sul quale poteva ballare all'infinito. E la quarta la utilizzava per dormire.
Apollo si stese sul letto. Era nudo, come al solito. Tutta una singola parete della sua stanza era occupata da un grosso armadio di noce, piena di vestiti. Persefone aveva fatto scintille, al suo ritorno. Il loro padre doveva proprio averle detto qualcosa.
Apollo fissò il soffitto di ossa. Ormai quel posto gli piaceva, era diventato la sua casa, si sentiva come a casa. Ed era felice di essersi ambientato, che Persefone gli avesse concesso tutte quelle cose. Era contento. Ma era anche triste.
Dieci mesi prima Ade si era intrufolato nella sua stanza. Avevano fatto sesso per la prima volta. Il sesso si era trasformato in fretta in tenero amore, e Apollo aveva sperato per settimane che Ade decidesse di mollare la moglie per mettersi con lui in modo ufficiale. Cosa non accaduta, visto che Ade lo aveva scaricato non appena il tempo di Persefone fuori dagli Inferi era scaduto.
Apollo si oscurò mentre pensava ai giorni successivi, dopo che Ade l'ebbe lasciato da solo nella sua stanza. Si sedette sul letto, abbracciandosi le ginocchia e fissando la porta proprio come quel giorno.
Ade se n'era andato, e Apollo era rimasto in attesa di vederlo tornare. Dopo due giorni passati a fissare la porta, aveva capito che non lo avrebbe più rivisto. Il che lo aveva ferito in ogni parte del suo corpo.
I servi zombie di Ade lo avevano convinto con la forza a farsi un bagno, ma non a mangiare. Per un mese intero, Apollo aveva deciso di fare lo sciopero della fame, sperando che Ade tornasse da lui. Ma allo scoccare di trentuno giorni, Apollo era stato servizievole con gli zombie. Obbediva alle loro mute richieste, e li aveva scacciati quando avevano tentato di rimetterlo a forza nella vasca bollente.
Se si stava dimenticando di Ade? No, per niente. Ade era stata la stella nera nella sua vita di luce. Era una stella difficile da dimenticare, visto il posto oscuro in cui si trovava.
Ma almeno Ade era stato bravo. Da quando se n'era andato non era più tornato indietro, e Apollo lo preferiva. Se lo avesse rivisto anche solo per un secondo, in lui sarebbe riaffiorato tutto il dolore che cercava di soffocare,e chissà cos'altro. Era molto meglio così.

Ade passò un quarto d'ora ad ascoltare le lamentele di una donna che in vita era stata una stella del cinema. La bandì nei Campi della Pena perché aveva cercato di fare la furba, e quando una nuova anima si posizionò di fronte a lui, inspirò profondamente.
«Persefone, vado a fare una passeggiata.» borbottò, alzandosi in piedi e lisciandosi la veste.
La moglie spostò lo sguardo su di lui. «Dove vai?» Un pizzico di curiosità.
«Sulla riva dello Stige.»
«Vengo con te.»
«No. Voglio stare un po' solo.»
Persefone annuì. Da quando era tornata mesi prima, aveva notato che il marito si era fatto più scorbutico di prima. Nella camera da letto non le chiedeva nemmeno più di fare l'amore con lei. Doveva essere stanco di quella vita.
Ade lasciò il suo palazzo e si avviò allo Stige. Salutò Cerbero lanciandogli una vecchia palla da football, e si camminò sulla riva in cui si era trovato diverse volte con Apollo.
Si sedette, osservando l'acqua scura dello Stige pensieroso. Erano sei mesi che il suo cuore si struggeva per il dio del sole, ed erano sei mesi che cercava di non corrergli incontro. Aveva una moglie, non poteva mollarla così e sparire da lui. L'unica persona che lo avesse mai fatto sentire così bene.
Si strinse nelle spalle e si guardò attorno. Notò il sole che Apollo aveva inciso con un ramoscello nella terra, e il teschio tutto storto che aveva fatto lui stesso dopo di lui. Ricordò che quella era stata una delle tante belle giornate vissute con lui.
Ade si passò le dita tra i capelli, fissando il suo palazzo. Persefone sarebbe stata occupata con i morti ancora per qualche ora, almeno fino al suo ritorno di sicuro. Forse poteva andare da Apollo, controllare la sua salute... Ma no. Se lo avesse rivisto, il suo corpo non gli avrebbe più permesso di lasciarlo.
Il loro era stato un errore che non sarebbe più ricapitato, per il bene di entrambi. E poi conosceva Apollo. Se si fossero rivisti, Apollo gli sarebbe saltato addosso, mandando a quel paese la distanza che si era creata. Ed era sicuro che non avrebbe rifiutato quelle attenzioni.

Apollo entrò nella camera della musica e prese il violino. Iniziò da gli accordi più semplici, poi riprese a suonare uno dei tanti Inni ad Ade che aveva creato nelle ultime settimane. Non erano inni d'amore come il primo, ma inni di odio e disgustato. Apollo si ritrovò a pensare che questi Ade li avrebbe apprezzati molto di più.
Suonò per ore il violino, gli occhi chiusi e la musica che divampava da lui come raggi di sole. Il pianoforte lo accompagnò, come l'arpa e l'armonica, e Apollo si ritrovò a sorridere sul serio dopo tanto tempo.
Quando bussarono alla porta, Apollo finse di non aver sentito. I servitori di Ade apparivano nei momenti meno opportuni. Il giorno prima lo avevano interrotto mentre si dava da fare da solo sul letto. E anche quello prima ancora. E quello prima ancora.
Aggrottò la fronte. Era colpa degli zombie o semplicemente era lui a darsi troppo da fare?
Al quinto colpo sulla porta, Apollo abbassò il violino e lo posò sul pianoforte. Gli strumenti dotati di vita loro si fermarono, lasciando la stanza carica di elettricità musicale. Quello era il suo elemento perfetto.
«Sì?» chiese Apollo, prima di spalancare la porta, e incrociare le orbite vuote del solito zombie che gli aveva portato la solita cena. «Grazie. La prossima volta lascialo davanti alla porta.»
Lo zombie lo fissò in silenzio, poi se ne andò. Apollo lo seguì con lo sguardo, e fu sul punto di rientrare nella sua stanza quando vide Ade sbucare infondo al corridoio, con la sua solita aria tetra.
Il vassoio che teneva in mano tremò.

Le pupille di Ade si sgranarono nel vederlo lì sulla soglia della camera. Impallidì più di quanto non fosse già pallido, e si bloccò.
«Tu...» balbettò Ade, fissandolo, non sorprendendosi di vederlo nudo. «Tu dovresti essere dentro.»
«Io...» farfugliò Apollo di rimando. «Io... ho solo preso la cena.»
«R-Rientra nella sua stanza.»
«L-Lo faccio subito.» annuì Apollo, ma le sue gambe non obbedivano. Tenne gli occhi su Ade, cercando di saziarsi di lui solo con la vista. Il dolore che gli aveva fatto provare negli ultimi mesi sembrò scomparire, per poi tornare più forte e costringerlo ad arretrare e chiudersi nella stanza prima che la sua gioia di vederlo fosse visibile.
Ade restò lì impalato a guardare la porta chiusa, non sapendo come reagire. Era la prima volta che gli capitava. Per ogni istante della sua vita aveva sempre avuto almeno un piano, ma non quella volta.
Tornare sul suo trono? Aiutare Persefone a gestire i morti? Rinchiudersi nella sua camera?
Andare da Apollo? Distruggersi completamente? Seguire il suo cuore pulsante?
A passo malfermo, si avvicinò alla porta chiusa della stanza. La toccò, senza bussare. Riusciva a sentire il calore di Apollo al di là della porta. Doveva prendere una decisione per entrambi, ma non voleva che si rivelasse quella sbagliata.
Chiuse la mano a pugno per dare un colpo di nocche alla porta, ma essa si spalancò da sola. Le mani color miele di Apollo lo afferrarono per la veste e lo spinsero in stanza. Prima di poter dire solo una parola, Ade sentì il corpo nudo e decisamente felice di vederlo di Apollo stretto al suo, le labbra premute sulle sue, la lingua pronta ad accarezzargli la bocca.
Ade affondò le dita nella schiena di Apollo e chiuse la porta con un colpo di anche. Senza una parola rispose al bacio di Apollo con altrettanto entusiasmo, ed entrambi si accompagnarono al letto. Apollo si sedette, Ade prese posto sulle sue ginocchia e ripresero a baciarsi come se ne valesse delle loro vita.
Ade si ritrovò nudo in un battito di ciglia per merito di Apollo. Non aveva mai creduto di potersi sentire così eccitato per un altro uomo.
Apollo gli infilò le dita tra i capelli, accarezzandogli ogni centimetro di pelle pallida. Non lo faceva da mesi, e un po' si sorprese di conoscerne così bene ogni particolare.
Il bacio continuò ad essere passionale, e Apollo spinse Ade tra le sue lenzuola. Ade non sembrava intenzionato a lasciare le sue labbra, e Apollo non intendeva venir meno a quel contatto. La presa delle sue dita gli provocò dei lividi, ma non se ne preoccupò. In quel momento, erano all'ultimo posto di una lunga lista.
Ade gli strattonò i capelli perché si era distratto, e Apollo lo baciò con più forza. Le loro mani volarono sui loro petti e sui sessi pronti all'azione.
Ade lo strinse, mordicchiò il labbro di Apollo e restò in attesa. Apollo lo accarezzò, gli leccò le labbra, e gli sollevò il bacino. Il corpo di Ade sembrava già pronto ad accoglierlo. Apollo vi entrò dentro, vi sprofondò, e Ade si morse la lingua per non urlare, muovendo i fianchi per aiutarlo ad entrare, graffiandogli le braccia mentre lo sentiva dentro di sé.
Con un gemito, Apollo cominciò a muoversi e guardò Ade. Erano sei mesi che non lo vedeva, ed era stupendo, con le guance rosse, i capelli scompigliati, e gli occhi colmi di qualcosa che non riuscì a riconoscere.
E gemeva. Le labbra del dio dei morti si aprivano a tempo con i suoi affondi per gemere, un suono meraviglioso, più bello di tutti gli strumenti musicali che Apollo amava così tanto. Apollo ansimava piano, per non rovinare il suono delizioso di Ade.
Quando il dio dei morti gli venne sullo stomaco, Apollo si lasciò andare. Avrebbe potuto proseguire per ore, ma di sicuro Ade non era pronto per una cosa del genere così presto, dopo sei mesi di niente assoluto.
Lasciò il suo corpo e restò seduto, lo prese tra le braccia e gli ricoprì il volto di baci. Ade teneva le palpebre chiuse, cercando di riprendere fiato, e quando spalancò i suoi meravigliosi occhi scuri, Apollo stava già piangendo silenzioso.
«Mi dispiace.» mormorò Ade, sorprendendosi con gli occhi lucidi, posandogli le mani sui lati del volto e baciandolo con forza. «Mi dispiace, sono stato un vero idiota.»
«Sst.» singhiozzò Apollo, baciandolo a sua volta. «Stai zitto per una volta.»
Ade lo accontentò, e lo baciò. Lo circondò con le braccia e le gambe, non sorprendendosi di essere già di nuovo eretto. Apollo lo baciò sul collo, continuando a versare le sue lacrime silenziose, per lo più lacrime di gioia.
Si stesero sul letto, avvinghiati. Apollo non riusciva più a distinguere i suoi arti da quelli di Ade, ma non gli importava. Continuò a baciarlo, senza lasciargli il tempo di distruggere quel delizioso momento che si era creato tra loro. Il giorno dopo, o forse solo venti minuti, se ne sarebbe pentito, ma ora il suo cuore gli chiedeva soltanto di vivere il momento.

Ade e Apollo - Amore negli InferiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora