17. Collera e rabbia

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«Ehm, scusami, ma credo di dovermene andare.»

«No, caro. Tu resti qui con me.»

«Senti, Apollo.» disse Ermes, esasperato. «Sono tre settimane che mi inviti a prendere il tè nelle tue stanze private. Quando finirà questa storia?»
«Non ti piace il tè alla rosa?» domandò Apollo, perplesso.
Ermes lasciò cadere una zolletta di zucchero nella sua tazza di tè e afferrò il manico con un gesto protettivo. «Il tè alla rosa è buonissimo.» disse, girando lentamente il cucchiaino. «Solo non capisco perché mi inviti a bere il tè qui.»
«Non ho altre stanze.»
«Allora perché mi inviti a bere il tè?»
Apollo bevve un sorso di tè. «Perché mi piace avere compagnia, e tu mi stai simpatico.» gli sorrise gentile.
Ermes lo guardò un altro momento, scrollò le spalle e tornò a bere il suo tè.
Apollo si lasciò scappare un sospiro di sollievo. Aveva avuto paura che Ermes non credesse alle sue parole, ma per fortuna il dio dei ladri era vanitoso quanto qualsiasi altro dio.
Certo, la compagnia di Ermes gli piaceva tantissimo, e si divertiva sempre ad ascoltare le sue avventure. Ermes era quel genere di persona che, un tempo, Apollo avrebbe portato nel suo letto. Ma ormai era cambiato, e desiderava solo un dio.
E proprio per questo dio invitava Ermes a bere il tè tutti i giorni. Perché aveva notato gli sguardi di gelosia che Ade inviava al dio dei messaggeri ogni qualvolta lo vedeva arrivare... Non si accorgeva nemmeno di essere geloso di Ermes, e per Apollo era meraviglioso.
In questo modo, Apollo era riuscito a capire che Ade lo amava ancora, forse non profondamente come un tempo, visto tutte le ferite che aveva dovuto sopportare per colpa sua. Ma lo amava ancora, e il suo ritorno con Persefone era dovuto solo per riscaldare l'altra metà del letto. Non era amore.
Non sapeva bene cosa stesse aspettando. Una scenata di gelosia da parte di Ade? Ade che prendeva a pugni Ermes? Ade che arrivava, spingeva via Ermes dalla stanza e gli chiedesse perdono?
Sorrise nell'immaginare una scena del genere.
«Perché sorridi?»
Apollo alzò gli occhi su Ermes. «Ah, una cosa divertente.» mentì.
«Che genere di cosa divertente?»
«Ah, ehm, è successa da Efesto.»
«Uh, racconta.» Ermes sorrise.
Apollo sospirò e iniziò a raccontargli dell'episodio in cui aveva strappato per sbaglio la corrente dal macchinario, facendo perdere a padre e figlio ore e ore di lavoro. Ricordò la delusione negli occhi del ragazzo, mentre Efesto inspirava profondamente e gli chiedeva gentilmente di andarsene a prendere un tè con i biscotti.
«Un tè con i biscotti?» rise Ermes. «Un eufemismo per mandarti a quel paese.»
Apollo sobbalzò. Ci era appena arrivato anche lui.
Ermes lo lesse nel suo sguardo e scoppiò a ridere più forte. «Sei incredibile, Apollo.» gli disse ridendo, posandogli una mano sul braccio.
La porta della stanza volò via dai cardini sbattendo contro la parete alle spalle di Ermes.
Quattro zombie entrarono nella stanza, afferrarono il dio dei ladri per le braccia e lo trascinarono via, bloccando ogni tentativo di difesa da parte di Apollo, che rimase seduto al suo posto troppo sbalordito per fare un qualsiasi movimento.


Quando Ade udì lo scoppiò della porta, si sentì pervaso da un'ondata di rabbia e collera, che gli stava crescendo nel petto da un sacco di tempo. Esattamente da quando aveva visto Apollo lasciare la sala del trono a braccetto con Ermes.
Quell'odio si era rafforzato quando aveva rivisto Ermes il giorno seguente nei pressi della stanza di Apollo. Stava andando da lui per parlargli, ma si era come pietrificato alla vista di Apollo che trascinava ridendo Ermes nella sua stanza.
In quel momento, di tre settimane prima, non si era sentito spezzarsi. Il suo cuore gli aveva mandato un'ondata di rabbia e desiderio di morte per quel dio dagli occhi chiari.
Ma era riuscito a mantenere la calma. Il non essere entrato nella stanza di Apollo in quel preciso istante era per lui una prova di calma.
A fatica era tornato sul suo trono, seduto al fianco di Persefone, ma per il resto della giornata fu la moglie ad occuparsi dello smistamento delle anime. La mente di Ade era da tutt'altra parte. Era nella stanza di Apollo, e vedeva Ermes mettere le manacce su quella pelle color miele, su quei meravigliosi boccoli color grano, e a baciare quelle fantastiche labbra...
Quando il giorno seguente aveva rivisto Ermes, aveva spedito degli zombie a sorvegliare il corridoio. Aveva detto loro di stare dietro la porta, tenere sotto controllo la stanza. Se avessero visto Ermes o Apollo sfiorare l'altro, dovevano entrare.
Dopo la prima settimana, Ade si domandò se i suoi zombie avessero capito quale fosse il loro compito. Passò un'ora con loro, origliando le conversazioni tra Ermes e Apollo, e tornando al suo trono capì quali erano le intenzioni del dio del sole.
Voleva ingelosirlo. Quello sciocco dio danzante credeva davvero di poterlo ingelosire! Be', ci stava riuscendo alla grande.
Ogni volta che sapeva dell'arrivo di Ermes nel suo palazzo, Ade cominciava a mangiucchiarsi le unghie. Non voleva affatto che il suo uomo cedesse alla tentazione. Non voleva che Apollo flirtasse con il dio dei ladri. Non voleva che Apollo si innamorasse di un altro.
Leggeva le lettere di Nico - aveva ricevuto una foto di Kurt: quei capelli rossicci e l'aria da diavoletto erano spettacolari! - ma neanche quelle riuscivano a fargli pensare ad altro che non fosse il dio della musica in compagnia di quell'altro.

«ADE!»
Il suo nome urlato in quel modo lo riscosse dai suoi pensieri. Abbassò i piedi dal trono della moglie, anche se sapeva benissimo che non era stata lei a chiamarlo. Avrebbe riconosciuto quel tono melodioso anche se fosse stato sordo.
«EHI TU BRUTTO STRONZO!»
Ade si voltò un momento verso Apollo e, prima di poter articolare una risposta adeguata, venne afferrato per il colletto e spedito a terra. Il pavimento ebbe un effetto strano alla sua schiena, che sentì cigolare in modo sinistro.
«Ciao Apollo.» disse Ade, cercando di mettersi almeno seduto. Ma Apollo gli posò un piede nudo sul petto. Era adirato. Furioso.
Ade pensò di non averlo mai visto così affascinante.
«COSA STANNO FACENDO AD ERMES?» urlò Apollo, aumentando la pressione del piede.
«Non urlare!» gridò Ade, ignorando la domanda. «Ti sento benissimo!»
«Allora rispondi! Cosa gli stanno facendo?! E dove lo hanno portato?!»
Ade guardò Apollo. Da quella posizione - sotto di lui - era tutta un'altra cosa. Si sentì esplodere il cuore di gioia nel vederlo, sebbene Apollo fosse di tutt'altro avviso. Sembrava pronto ad ucciderlo.
«Chi lo ha preso?» domandò Ade, calmo.
«Lo sai benissimo. Non fare il finto tonto. Mi fai venire voglia di prenderti a schiaffi.»
«Allora prendimi a schiaffi.»
Apollo lo schiaffeggiò.
Ade sussultò per la sorpresa e si massaggiò la guancia. «Okay. Non me lo aspettavo ma... è okay.»
Apollo si sedette sul suo trono a braccia e gambe incrociate. Indossava jeans bianchi sgualciti e camicia dorata con le maniche larghe, e i primi bottoni erano aperti a mostrargli l'incavo della gola e il petto. La criniera dorata gli ricadeva ordinata sulle spalle. Era una visione celestiale.
Ade si mise seduto, e si passò le dita tra i capelli.
«Perché ti importa così tanto di Ermes?» domandò con tono innocente, per tastare il terreno.
«Perché è mio amico.» disse Apollo. Pronunciò la parola amico con tono malizioso, e Ade notò gli occhi scintillare.
Si alzò in piedi, spazzolandosi i vestiti e si sedette sul trono di Persefone, con il volto girato verso Apollo.
«Quindi Ermes è il tuo nuovo giocattolo?» chiese Ade, tranquillo, appoggiando il mento alla mano aperta.
Apollo lo fissò torvo. «Io non ho giocattoli.»
«Ne hai uno qui di fronte.»
«Falla finita, Ade! Tu non sei mai stato il mio giocattolino! Ti ho riferito che quello cose dette a Zeus non significavano nulla. Ti ho detto che erano tutte bugie, e tu continui a non credermi. Sai, mi sta bene se ora fai sesso con Persefone, e che ora siete tornati grandi amici. Ma se lei dovesse lasciarti, non venire a piangere da me. Voglio rifarmi anch'io una nuova vita.»
Detto questo, si soffiò via dalla fronte una ciocca di capelli appena caduta e si mise a guardare dritto di fronte a sé, infastidito.
Ade, invece, continuò a guardarlo. «Tu non vuoi rifarti una vita.» disse piano. «Perché altrimenti tu ed Ermes avreste già fatto sesso. Ti conosco.»
«Io e lui lo abbiamo fatto così tante volte che non esistono numeri per indicarlo.»
«No, caro, quello era con me.»
Apollo spostò gli occhi azzurri su di lui. Erano furenti, ma Ade intravide qualcosa passare. Un lampo di speranza, forse.
«Io ti amo.» mormorò Apollo con voce tremante. «Puoi capirlo?»
Ade distolse lo sguardo.
«Ti amo così tanto che, spesso, mi fa male il cuore.»
Ade si mordicchiò il labbro.
Apollo si alzò e si inginocchiò di fronte a lui, prendendogli il volto tra le mani e costringendolo a guardarlo dritto negli occhi.
«Ti ho pensato tutti i giorni mentre ero in punizione da Efesto. Lo sai. E ho continuato a pensare a te anche se mi hai trattato in modo freddo quando sono tornato. E ora, dopo altre tre settimane di indifferenza da parte tua, sono qui, in ginocchio da te, a dirti che ti amo.»
«Apollo...»
«Lo so che mi ami anche tu, altrimenti mi avresti già guardato negli occhi per dirmi che mi odi e che preferiresti vedermi nella fucina di Efesto.»
«Ma l'altra volta io te l'ho detto...»
«Shh!» Apollo gli mise le mani davanti alla bocca, arrossendo. «Ecco. Io ti amo anche se rovini dei momenti perfetti come questo. Perché ti è così difficile capirlo? Perché non capisci che quello che ho detto a Zeus era solo per evitarti una punizione? Perché non capisci che sono davvero dispiaciuto per quanto ho fatto? Perché non capisci che tua moglie è una zoccola e che ti volterà le spalle quando arriverà qualche altro umano o semidio più bello di te?»
«Ne esistono?» si incuriosì Ade, rispecchiandosi negli occhi di Apollo.
«Per lei che non ti ama sì. Ne esistono a bizzeffe. Per me che ti amo con tutto me stesso, e anche di più, no. Per me sei bellissimo, Ade. E se questo mio discorso non è servito, vorrà dire che continuerò a ripetertelo in continuazione.»
Per qualche minuto si guardarono dritti negli occhi, entrambi in attesa che l'altro facesse la prima mossa.
Poi Ade capì.
«Sono stato un idiota.» mormorò, e Apollo gli strofinò il pollice sulla guancia. «Non avrei dovuto dimenticarti. O sforzarmi di dimenticarti. Tu sei quello più frivolo, e hai continuato ad amarmi nonostante tutto il tempo trascorso.»
«Mi sono masturbato tante volte pensando a te.» annuì Apollo, serio.
Ade gli posò una mano sulla bocca. «Per il Tartaro, ma perché devi sempre rovinare dei momenti come questi?!» sorrise, e gli occhi di Apollo si illuminarono. «Ho sbagliato a fare quello che ho fatto. Non dovevo tornare da Persefone. Avrei dovuto aspettarti, attendere con ansia tutti questi 1682 giorni...»
«1826.» lo corresse Apollo.
«... come tu hai fatto con me.» Ade ignorò la correzione di Apollo. «Mi sono lasciato abbindolare da quella...»
«Zoccola.» finì per lui Apollo, ma Ade proseguì.
«...da quella donna. Come hai detto tu l'altro giorno, lei era lì. Lei è stata presente mentre soffrivo per la tua lontananza. E io mi sono lasciato alle sue attenzioni. Sono stato debole. E stupido.»
«No. Non è stata colpa tua.» lo rassicurò Apollo, accarezzandogli le guance e appoggiandosi al suo petto. «È colpa di Persefone. Lei è...»
«Basta.» sbuffò Ade, un po' divertito. «Questa tua avversione per Persefone passerà mai?»
«Mai.» mormorò Apollo, e lo baciò.

Ade e Apollo - Amore negli InferiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora