16. Persefone ed Ermes

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«Possiamo parlare?»
«No.»
«Per favore.»
«Ho delle cose da fare.»
«In effetti, vedo come sei impegnato.»
Ade ignorò Apollo e tornò a fissare il vuoto. Ma stava arrossendo.
Si trovava sul suo trono da un'ora, e da un'ora non aveva nemmeno smistato un'anima. Una volta ogni due settimane si prendeva un giorno di riposo, e questo Apollo lo ricordava molto bene.
Ade continuò ad ignorare Apollo per altri cinque minuti. Il dio del sole restò fermo affianco a lui, a braccia incrociate, in attesa di poter parlare, lo sguardo puntato su una parete lontana.
«D'accordo.» sbuffò Ade, passandosi le dita tra i capelli e voltandosi verso il dio biondo. «Parla.»
Apollo si mordicchiò il labbro, poi abbassò gli occhi su di lui. «Cos'è successo?» gli chiese veloce. «Perché non mi guardi neanche? Sono tornato da dieci giorni, ormai, e non mi hai nemmeno chiesto come è andata la mia punizione da Efesto.»
«Ho parlato con lui. So che è andata bene.»
«Credevo che avresti voluto saperlo direttamente da me.»
«Senti, Apollo...»
Ade si bloccò, non sapendo come continuare. Lo amava, inutile negarlo. Aveva davvero sperato di soffocare il suo amore per Apollo negli ultimi anni, ma la vista di quel testardo gli aveva fatto battere di nuovo forte il cuore.
«Io non voglio farti scenate di nessun tipo.» disse Apollo, scaldandosi, e Ade presunse che si trattava dell'incipit di una bella scenata. «Ma ho aspettato 1826 giorni per rivederti, e tu non mi guardi nemmeno negli occhi! Si può sapere cosa ti ho fatto?!»
«Lo sai benissimo quello che mi hai fatto!» sbottò Ade, senza guardarlo. «Quando parlavi con Zeus, mi hai spezzato il cuore.»
«Pensavo che lo avessimo risolto.»
«Hai pensato male.»
Apollo cominciò a fare avanti e indietro per la sala del trono, e Ade non riuscì a fare a meno di tenere gli occhi incollati su di lui. Quel corpo flessuoso... Ricordava ogni centimetro di quella pelle, ne ricordava il sapore e il colore. Ricordava tutto di Apollo.
Deglutendo, Ade distolse lo sguardo.
Apollo si fermò e tornò a fronteggiarlo.
«1826 giorni!» esclamò. «Sai quanti anni sono?!»
«Illuminami.» sospirò Ade.
«Cinque anni! Sono cinque anni! E io ho aspettato tutto questo tempo per rivederti! Dimmi cosa c'è che non va. Non abbiamo fatto pace quando sono partito? Io pensavo di sì.»
«Pensavi male. E smettila di ripetere cinque anni. Lo so che sono passati.»
Apollo lo fissò torvo, e Ade gli scoccò un'occhiata. I capelli biondi gli ricadevano spettinati attorno al volto. Gli occhi celesti erano spiritati. E aveva di nuovo l'aspetto da diciassettenne perennemente abbronzato.
«In tutto questo tempo io non vedevo l'ora di rivederti.» mormorò Apollo, con tono basso, fissandolo dritto negli occhi. «Mentre tu... Sei stato felice che me ne fossi andato?»
Ade abbassò lo sguardo. «All'inizio non lo ero.» ammise.
«Quindi ora lo sei?»
Ade si mordicchiò il labbro. «Apollo, qualsiasi cosa ci sia stata tra di noi, è finita. Speravo lo capissi da solo.»

Apollo inspirò profondamente mentre il suo cuore batteva furioso. Era finito? Il loro amore così puro era finito?! Come si permetteva di dirgli quelle cose?
«Be', io non la vedo così.» ringhiò Apollo, aggressivo, e Ade si appoggiò allo schienale del trono per guardarlo meglio. «Per me non è finito.»
«Per me sì. Sono tornato con Persefone.»
Apollo sgranò gli occhi. Aprì bocca per un minuto senza riuscire ad articolare nessuna parola, e alla fine balbettò: «Stai scherzando?»
«No, non scherzo. Lei è mia moglie.»
«Lei è una zoccola.»
«Occhio a come parli!»
«Lo hai detto anche tu che è una zoccola!»
«Be', ora ho ritrovato la mia attrazione per lei.»
«Non si chiama attrazione!» esclamò Apollo, il volto in fiamme, puntandogli un dito contro il petto. «Si chiama voglia di scopare. Lo so, perché è venuta anche a me. Ma al posto tuo non sono tornato da persone che non mi amano per rimediare al vuoto. Ho stretto i denti, e mosso le mani, sognandoti tutte le notti.»
Ade storse il naso, ma una fitta di piacere lo colpì allo stomaco. «Wow. Hai passato 1826 giorni a... muovere le mani... pensando a me?»
«Esattamente.»
«Bravo.»
Apollo fu tentato di schiaffeggiarlo. «Sei tornato con Persefone.» disse acido. «Dopo il modo in cui ti ha trattato.»
«Tu non hai fatto molto meglio.»
«Lei non prova più amore per te. Mentre io sì. Io ti amo, ed è per questo che ti ho ferito dicendo quelle cose a Zeus. Ho detto delle bugie per amore. Ti amo, e voglio che le cose come noi tornino come prima.»
Ade studiò il suo volto con la voglia di baciarlo. «Ma le cose tra di noi non potranno mai tornare uguali. Tu sei stato per cinque anni chiuso nelle fucine di Efesto. E io ho passato questi cinque anni in felice compagnia di mia moglie.»
«Di una zoccola che non ti ama per niente e che ti ha tradito per anni con quello che tu chiamavi amico!»
Ade lo fissò.
«A proposito, dov'è Shakespeare?» Apollo si guardò attorno furioso. «Scommetto che lo hai spedito nei campi della pena, vero?»
Ade arrossì. «No. Gli ho fatto notare che era proprio il caso di reincarnarsi.»
«Ah, bravo!» urlò Apollo. «Quindi hai perdonato quell'infame di Persefone e spedito Shakespeare di nuovo sulla terra! Perché non puoi perdonare me?!»
Ade lo ignorò. «Lo sai che Shakespeare si è reincarnato in un figlio di Ares che è stato adottato dai nostri figli?»
Apollo spalancò la bocca per la sorpresa. «Sul serio?»
«Già. Si chiama Kurt. Non ha un vero cognome. Nico lo ha visto in ospedale e se n'è innamorato. Lo hanno adottato alcuni mesi fa. Ora il bambino deve compiere un anno.»
Apollo ricordò di aver incrociato Will e Christal al centro commerciale mentre cercavano un regalo perfetto per Nico. Li aveva visti sorridenti e scherzosi.
«Ah.» si limitò a dire. «Allargano la famiglia.»
«Già.» Ade sorrise. «Siamo di nuovo nonni.»
«Di un figlio di Ares.»
«E prima ancora di un figlio di Atena.»
«E di una bellissima ragazza umana.»
Per un momento si sorrisero, e le cose tra loro sembrarono risolte. Poi si ricordarono che uno odiava l'altro e che l'altro cercava delle risposte e distolsero in fretta lo sguardo.
«Quindi sei tornato con Persefone.» disse Apollo, guardando una crepa decorativa sul pavimento. «Nonostante tutto, sei tornato con lei.»
«La amo.» mormorò Ade.
«Non dire stronzate.»
«Non è una stronzata! La amo sul serio!»
«La ami perché lei era lì con te mentre ti sentivi solo. E ti sentivi solo perché io sono stato esiliato da Efesto. Se lo avessi saputo, me lo sarei portato a letto.»
«Efesto?»
«Sì.»
«Be', sei ancora in tempo.»
«In tempo?»
«Puoi chiedere a Zeus di spedirti da Efesto per il resto della punizione.»
Apollo sbiancò. «Altri trent'anni a toccare quelle cose schifose? No, grazie. Preferisco rimanere qui e aspettare.»
«Aspettare cosa?»
«Che Persefone ti spezzi di nuovo il cuore per dirti: te l'avevo detto.»
Ade lo fissò torvo. «Non succederà.»
Apollo sorrise maligno. «Succederà, invece. Lei non ti ama. Vuoi capirlo?»
«E tu?»
«Io ti amo.»
«Io non più.»
Apollo inspirò profondamente. «Bene. Fai pure. Ama quella sgualdrina.» Si voltò infuriato.
Ade lo guardò allontanarsi, ma prima che potesse andarsene impettito e fare l'uscita di scena che tanto desiderava, fu fermato da Ermes, il dio dei messaggeri.
«Ehi!» salutò Ermes, sorridendo ad Apollo. «Era da un po' che io e te non ci vedevamo! Ho un messaggio per te da Solace.» Recuperò una busta e la tese ad Apollo, che la guardò silenzioso. «E un messaggio per Ade da parte di Levesque - Zhang.»
«Grazie, Ermes.» disse Ade, guardando la busta. «Niente da Nico?»
«No, mi spiace. Ne hanno scritta solo una questa volta.» Indicò quella di Apollo. «Leggetela insieme.»
Apollo e Ade si fissarono in cagnesco, poi Ade scosse la testa. «Non importa.» disse.
Ermes guardò prima uno e poi l'altro, poi scrollò le spalle. «Be', io vado. Ho altre lettere da consegnare.»
«Ehi, Ermes!» esclamò Apollo, infilandosi la lettera di Will in tasca e sorridendo al dio dei ladri. «Ti va di fare due chiacchiere?»
Prima che Ermes avesse il tempo di rispondere, Apollo lo prese sottobraccio e lo portò fuori dalla stanza del trono, scoccando un'occhiata ad Ade.
Il dio dei morti li guardò uscire insieme silenzioso.

Ade e Apollo - Amore negli InferiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora