1. La musica di Apollo

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Ade guardò sconsolato il trono vuoto della moglie. Come accadeva ogni anno, Persefone aveva lasciato gli Inferi per congiungersi alla madre. Era passata già una settimana da quando lei era partita, e gli mancava tantissimo.

Probabilmente Persefone non la pensava come lui, ma poco importava. Ade l'amava, era questo l'importante.

Il signore dei morti guardò la fila di anime che attendevano di essere smistate nei Campi. Altre attendevano le loro punizioni piagnucolando e chiedendo perdono. Era troppo tardi per il perdono.

Ade alzò gli occhi sul soffitto del suo palazzo, composto da sanguinanti scene di guerra. Si stava annoiando. Gli capitava di rado. Gli piaceva stare in mezzo ai morti, però...

Le cose erano cambiate dopo la conversazione avuta con suo figlio Nico. Il figlio gli aveva aperto il suo cuore, parlandogli così tanto del figlio di Apollo che Ade si era domandato spesso quando aveva smesso di provare quelle sensazioni per Persefone.

Forse dopo i primi secoli passati insieme.

Sbuffando, Ade lanciò una seconda occhiataccia al soffitto. Tutta colpa di Nico, quindi. Il figlio si trovava in superficie, probabilmente in quel momento si stava divertendo con il suo fidanzato, e viveva una vita spensierata. Mentre lui era costretto lì, al suo noioso lavoro, alla sua vita monotona, senza Persefone.

«Ehi, William!» chiamò Ade, puntando lo sguardo sul celebre poeta, che subito si mosse nella sua direzione. «Ti va di sostituirmi per qualche ora?»

«Ma certo, sir Ade.» sorrise William Shakespeare, facendogli mezzo inchino. «Posso sedermi sul tuo trono?»

«No. E stagli alla larga.»

Shakespeare sbuffò infastidito con modi teatrali, e Ade lasciò il trono. Lui e il poeta si chiamavano per nome ormai da secoli, dopo che Shakespeare ebbe composto per lui una ballata e l'ebbe cantata per più di un secolo.

Ade lasciò la stanza del trono sbadigliando, chiedendosi cosa poteva fare nelle sue alcune ore di libertà. Forse poteva dormire, o andare in superficie a spiare il figlio. Non lo vedeva da mesi, ormai. Era in pensiero.

Ma suo figlio, e tanto meno il suo fidanzato Will, non sarebbe stato affatto contento di vederlo apparire nel nulla. Era già capitato che Ade fosse comparso nella cabina 13 del Campo Mezzosangue senza farsi annunciare, mentre il figlio si trovava in atteggiamenti intimi con il figlio di Apollo Will Solace. Nico non se l'era presa, ma il figlio di Apollo sì. Sembrava essere stato colpito allo stomaco centinaia di volte, sempre nello stesso punto.

Ade sorrise tra sé. Ricordò che, dopo quell'episodio, era andato dritto nella stanza di Apollo lì nel suo palazzo e avevano riso dell'espressione di Will Solace, descritta in ogni più piccolo dettaglio da Ade. Era stato un momento veramente idilliaco.

Ade si passò una mano sulla barba, pensieroso. Forse poteva farlo. Andare a trovare Apollo. Il dio della musica sembrava apprezzare sempre una sua comparsa. Almeno per qualche minuto avrebbe dimenticato la sua tristezza chiacchierando con lui.

Ade sospirò, combattuto. Apollo sarebbe stato felice di vederlo, ma lui per niente. Quando Apollo era in vena, cantava e ballava, cose che Ade disprezzava con tutto sé stesso. Quando Apollo, invece, era triste, piangeva e si disperava, Ade lo apprezzava molto di più. Le cose tra loro erano migliorate molto quando, sei mesi prima, Ade gli aveva portato degli strumenti musicali.

Ade camminò per qualche minuto, scendendo alcuni piani e ritrovandosi a pochi passi dalla porta di Apollo. Zeus gli aveva ordinato di tenerlo segregato nel suo palazzo per cinquant'anni, e dopo le prime settimane, Ade gli aveva concesso una stanza grande quanto un appartamento. Era stufo di sentirlo singhiozzare e cantare al tempo stesso.

Ade e Apollo - Amore negli InferiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora