XIII

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Era tutto il giorno che Celeste andava avanti e indietro per la casa come una forsennata: prendeva pezze bagnate, preparava brodi caldi. Sperava che, con quello che stava facendo, il male che aveva colpito Marco passasse.

Dalla mattina precedente, era febbricitante e delirante: non faceva che chiamare i suoi familiari in sogno.

Celeste era così dispiaciuta, per la condizione in cui versava quel ragazzo. Non voleva neanche immaginare come si sentisse: l'unico dell'intera famiglia a non essere caduto nelle mani dei tedeschi. Le scese una lacrima all'ennesimo grido disperato del ragazzo che colpì le sue orecchie come un bicchiere che, cadendo sul pavimento, si frantuma in mille pezzi.

Essendo una domenica, quel 5 marzo, aveva lasciato per un po' Cecilia al suo capezzale, affinché lo coccolasse, mentre lei si occupava di ciò che poteva essergli utile.

Era scesa al piano di sotto per preparare un impacco di acqua da mettergli sulla fronte, per rinfrescarla. Il termometro, prima di scendere, segnalava la temperatura di trentanove gradi.

Il suo cuore batteva a mille, sapendo le condizioni di quel loro povero amico. Le lacrime erano sempre copiose, perché le sembrava che qualsiasi cosa facesse fosse inutile. La febbre saliva e scendeva: un attimo stava bene e poi balzava di nuovo a trentanove gradi.

Non riusciva a capire da cosa fosse causato tutto ciò. Se gli avessero portato loro qualche malanno da fuori o se si fosse ammalato di crepacuore.

Aveva bisogno di medicine che non potevano dargli: l'amore della sua famiglia, la vicinanza di Esther che, quando era malato, gli carezzava i riccioli marroni mentre gli cantava una canzone per calmarlo. Le medicine che aveva comprato all'alba da Phoenix potevano lenire il dolore fisico, ma non quello spirituale del ragazzo.

Mentre bagnava la pezza di acqua fredda, pensò che fosse meglio procurarsi del ghiaccio al pub.

Sentì bussare alla porta. La sua mente pensò subito al peggio. Le si mozzò il respiro e il cuore saltò un battito.

Posò la pezza sul piano cucina per andare ad aprire, sperando che non la si notasse.

Il panico la sorprese, quando un lamento dalla soffitta si sentì forte e chiaro. Il ragazzo stava avendo una delle sue visioni. Apro oppure no? pensò per un momento.

Se fossero stati i tedeschi e avessero sentito quei lamenti, l'avrebbero di certo arrestata, con tutta la famiglia. Quindi, era indecisa sul da farsi. Non si muoveva, perché non voleva emettere il minimo rumore.

Ma quando sentì quella voce femminile dal tono dolce e tanto familiare, pensò che non ci fosse nulla da temere. «Celeste? Siete in casa?» chiese zia Clara fuori alla porta, bussando di nuovo con mano leggera.

Celeste aprì, girando il pomello della porta. Quando si ritrovò la zia davanti, le fu impossibile non abbracciarla.

La strinse così forte che zia Clara dovette star soffocando, perché le chiese di lasciarla respirare. «Tesoro! Per quanto io passi spesso, mi mancate sempre!» disse, accarezzando il viso della nipote, che doveva apparire paonazzo, perché zia Clara chiese: «Stai facendo le pulizie?»

Celeste non comprese, lì per lì, la domanda della zia. Infatti, emise un «Eh?» di confusione.

Il vestito che indossava non era quello delle pulizie, perché Celeste aveva comunque il lavoro a cui badare: per cui, si era già vestita, prima di occuparsi del ragazzo; e poi, all'alba, era uscita con urgenza per incontrare Phoenix. Si guardò intorno spaventata, quasi che la zia potesse essere una qualche spia. «Ci ho messo un po', per aprire, perché mi stavo vestendo». Sperava che il nervoso non fosse così tanto palese sul viso.

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⏰ Ultimo aggiornamento: 13 hours ago ⏰

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