capitolo 9

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Il tragitto verso il pontile fu rapido, ma ogni passo era carico di tensione.
Sarah camminava al mio fianco, silenziosa.
Non sapevo se fosse più impaurita o curiosa; probabilmente entrambe.
Io, invece, avevo la mente annebbiata dai pensieri.
Il nome "Denmark Tanny" continuava a martellarmi in testa, insieme a quello inciso sulla Royal Merchant.
La mappa che avevamo trovato era la chiave per collegare tutto.
Ne ero certa.

Arrivati al molo, il luogo era un miscuglio di luci giallastre e ombre lunghe che si estendevano sull'acqua scura.
La nave per Charleston era già ormeggiata, e una decina di operai si affaccendavano a caricare casse e sacchi. Il ronzio dei motori al minimo si mescolava alle voci basse degli uomini, creando un sottofondo quasi ipnotico.

Sarah mi osservò, le braccia incrociate, l'aria pensierosa. "E ora?" chiese, alzando un sopracciglio.
"Non abbiamo biglietti," dissi, gettando un'occhiata nervosa alla biglietteria. "Quindi dobbiamo trovare un modo per salire senza dare nell'occhio."
Ci avvicinammo all'imbarco, tentando la fortuna. L'uomo ci squadrò con un'espressione di pura diffidenza. "Biglietti?"

Sarah sfoderò il suo solito sorriso sicuro, quello che ogni tanto mi faceva dimenticare che era una Cameron. "Sono nel telefono di mio padre," disse con nonchalance. "Stiamo aspettando che ce li invii."
L'uomo non sembrava impressionato. "Niente biglietto, niente imbarco."

Sarah sbuffò, irritata, ma prima che potesse aggiungere altro, la trascinai via. "Ottima idea," le sussurrai sarcastica.
Lei mi lanciò un'occhiataccia, ma poco dopo il suo viso si illuminò. "Aspetta... le pettorine!" esclamò.
"Le che?" chiesi, confusa.
"Le pettorine gialle," spiegò, indicando un gruppo di lavoratori con giubbotti catarifrangenti. "Se sembriamo lavoratori, nessuno ci noterà."

Non era un piano brillante, ma era l'unico che avevamo.
Ci dirigemmo verso una zona meno illuminata, dove attrezzi e giubbotti catarifrangenti erano ammucchiati in modo disordinato.
Prendemmo due pettorine, ce le infilammo in fretta e tornammo verso il molo, con il cuore che ci batteva forte nel petto.

Per evitare sospetti, Sarah afferrò una scatola leggera da una pila di casse, e io feci lo stesso.
Ogni passo verso la nave sembrava un'eternità, ma nessuno ci fermò.
Salite a bordo, trovammo rifugio in un angolo buio del ponte inferiore.
La nave si mosse lentamente, lasciando il porto dietro di sé.

"Non ci credo che ha funzionato," sussurrò Sarah, lasciandosi cadere a terra accanto a me.
"Non cantare vittoria troppo presto," risposi, cercando di calmare il battito del cuore. Eppure, in quel momento, provai una leggera scintilla di speranza.

Charleston era frenetica, un labirinto di strade affollate e voci animate.
Ma non avevamo tempo da perdere.
Gli archivi storici si trovavano in un imponente edificio di mattoni rossi.

Sarah prese subito l'iniziativa, sfoggiando il suo sorriso sicuro e camminando con la determinazione tipica di chi è abituato a ottenere sempre ciò che vuole.
"Mio padre, Ward Cameron, ha donato molti documenti a questo archivio," disse al custode con un tono che non ammetteva repliche.
L'uomo annuì e ci fece entrare senza fare domande.

Ti amo, mi dispiaceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora