25 Luglio 2527

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Viaggiavamo in automobile verso il Sud Italia, utilizzando le poche strade che restavano ancora agibili (cosa che rallentò di molto il viaggio). Ogni tanto riuscivamo a trovare un distributore di benzina da cui riuscivamo a spillare qualche litro di gasolio forzando le pompe, e così riuscivamo ad andare avanti. Avere la macchina era una grandissima fortuna, ormai di tutte le macchine esistenti prima dello schianto ne restavano meno di un decimo, ecco perché rimaneva ancora una grande quantità di benzina nei distributori; per quanto riguarda il cibo, ce lo procuravamo semplicemente passando all'interno dei centri abitati (tutti pressoché deserti) e prendendo ciò che ci serviva dai resti di supermercati e abitazioni.
Dopo una settimana di viaggio arrivammo nel sud, in una regione chiamata Basilicata. Più ci avvicinavamo all'inverno e più le temperature si abbassavano: in quel momento eravamo a -15 e tutto era ricoperto da neve. Un giorno, non ricordo bene quale, lungo la strada incontrammo un gruppetto di cinque persone: quattro di loro erano visibilmente sofferenti per la fame ed il freddo, un altro invece non presentava alcun segno di affaticamento. Costui sembrava una montagna, era un uomo di colore altissimo e molto robusto e muscoloso, la sua sola vicinanza metteva in soggezione. Decidemmo di fermarci ed aiutarli, dargli un po del nostro cibo e un passaggio verso il rifugio più vicino. Ci raccontarono la loro storia: si trovavano in un rifugio, ma l'onda d'urto dell'impatto con l'Apocalypse fece cadere il rifugio in mare, visto che molto imprudentemente venne posizionato nei pressi di una scogliera; morirono tutti affogati, tranne loro cinque, tutti salvati dall'uomo di colore. In seguito proseguirono a piedi fino ad un centro abitato ormai deserto, dove rimasero per mesi nutrendosi delle conserve; tuttavia queste finirono e loro si trovarono costretti a vagabondare senza un mezzo di trasporto, senza cibo ed immersi nel gelo. A quel punto, per loro fortuna, li incontrammo e decidemmo di accompagnarli in un rifugio che avevamo visto ad una cinquantina di chilometri di distanza, molto simile a quello in cui stavamo io e Mans.
Una volta giunti in quel rifugio l'uomo gigante parlò per la prima volta. Si chiamava Okubaba, era africano, e ci chiese dove eravamo diretti. Anche lui voleva recarsi in Africa per tornare dalla famiglia, così continuò il viaggio con noi.
Chiudo.

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