Capitolo 12

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Sono sul pullman a fissare le goccioline scivolare lungo il vetro.
È passata solamente qualche settimana dal mio ricovero e qualche ora da quando credevo che fosse vivo, e per tutto questo tempo non me lo hanno detto. Per tutto questo tempo credevo fosse vivo. Per tutto questo tempo il mio peggior incubo non era reale.
Scendo alla mia fermata. E vado dritto al negozio di fiori di fronte al cimitero del paese.
Dentro è profumato e colorato.
Le pareti sono dipinte da un rosso brillante. Qua e là ci sono fiori di ogni dimensione e tipo.
Ma d'impatto il primo fiore che mi colpisce sono dei girasoli. Prima d'ora non li avevo mai visti. Sono bellissimi, così perfetti da sembrare finti.
Ne prendo uno e sinceramente non so se è adatto a un defunto, visto che non sono mai entrata in un cimitero.
La signora dall'aria dolce e paziente lo incarta e lo fa diventare ancora più bello.
Sono certa che gli avranno fatto il funerale mentre ero ancora in ospedale e lo avranno sotterrato.
Perciò esco e m'incammino per andarlo a salutare un' ultima volta.
Le bare sono disposte in ordine alfabetico perciò cerco la lettera "Q".
E finalmente lo trovo.

Joshua Peter Quill

Inizio a tremare. Il girasole trema. Le mie mani. Le mie labbra.Tutto.
Ogni mia singola parte del corpo non risponde.
Mi porto le mani alle labbra. Le lacrime scendono. E le gambe cedono.
La pioggia scorre sopra la mia schiena percossa da un pianto straziante. Insopportabile da tenere dentro.
Le grida disperate non sembrano le mie, ma sono le stesse che ho fatto durante l'incidente.
Però questa volta non sono di terrore. No.
Sono di disperazione. Di chi sa che questa volta non riceverà nessun aiuto.
Di chi sa che dopo tutto ciò non ci sarà nessun "dopo". Ma ci sarà sempre un "ora".
Di chi sa che che questa è una conferma e che dopo non si sveglierà in un letto di ospedale sperando che lui sia vivo. Credendo che sia ancora vivo.
Di chi sa che non si ritornerà mai più indietro, ma si può solo sperare di andare avanti , per quanto dura sarà.
Per quanto doloroso sarà.
Per quanto indimenticabile e impossibile sarà.
Appoggio il girasole, troppo vivace per stare in posto così grigio e così pieno di tristezza, sopra la sua lapide ancora perfettamente nuova e pulita.
-Joshua Quill. Addio.-
Appoggio la testa sulla lapide e le parole mi escono in un sussurro che vengono coperte dallo scrosciare della pioggia.

Ritorno a casa senza dire una parola.
Vado subito a farmi una doccia.
L'acqua calda mi travolge come un mare in tempesta e io sono seduta a piangere con il viso sulle ginocchia.
Scendo giù e i miei genitori e mia sorella sono seduti intorno al tavolo a mangiare senza dire una parola.
E così faccio io : mangio senza dire una parola. Senza alzare lo sguardo dal piatto.
L' allarme rompe il silenzio assordante : il coprifuoco è iniziato.
E per quanto io lo desideri in questo momento, non posso uscire perchè mi catturerebbero e , probabilmente, dovrei passare la notte in cella. Per quanto sua ridicolo tutto ciò.
Così, finita la cena, mi alzo e vado in camera mia. L'unico posto in cui posso stare da sola con i miei pensieri. Con me stessa.
Mi sdraio sul letto , prendo il telefono e vedo che sia Ally che Will mi hanno scritto, ma io sinceramente non voglio nè vedere nè sentire nessuno. Così li ignoro e vado sulla mia playlist.
Ed sheeran è l'unico a capirmi, così le note di Bloodstream (la mia canzone preferita oltretutto) mi calmano e mi fanno sentire meno sola. È così dolce questa canzone che sprofondo nel sonno senza accorgermene.

Lui è lì, davanti a me.
Tutto intorno a noi è buio.
Si allontana in mezzo all'oscurità.
Grido il suo nome ma non si ferma.
Lo seguo. Ma non riesco mai a raggiungerlo.
Non c'è fine all'irraggiungibile , non riesco a trovare l'uscita.
All'improvviso vedo una luce fioca. Mi avvicino e vedo un bagliore.
Un albero prende fuoco e poco a poco si trasforma in cenere, che si dissolve nell'oscurità.
Sento la sua risata di scherno. Mi giro e lui prende per la gola.
Non riesco a respirare.
Chiudo gli occhi ma lo sento urlare.
Mi lascia.
Vedo la sua pelle bruciare.
Prendere fuoco.
E trasformarsi in cenere come l'albero.
Urla il mio nome. Il nome dell'assassina di chi l'ha ridotto così. Di chi l'ha ucciso.
E come le ceneri dell'albero, anche le sue si dissolvono nel buio.

-America! America!- urla una voce femminile.
Mi sveglio con il respiro corto ma non troppo corto da non poter urlare.
Abby è lì seduta sul mio letto con gli occhi pieni di terrore.
Non la biasimo.
Non riesco a respirare, tutto diventa offuscato e la sua voce dolce diventa distorta.
Le indico le pillole sul mio comodino.
Le ingollo con un po' d'acqua.
Lei mi accarezza la schiena per far scacciare via tutti quei mostri che tormentano i miei sogni e la mia testa.
- Hai fatto un incubo?- mi chiede accarezzandomi i capelli bagnati dal sudore.
Annuisco.
La gola è in fiamme e le parole non escono.
-Cosa è successo?- sussurro con la vice roca.
- Ti ho sentito urlare. Così sono corsa qua e...- s'interrompe, come se non sapesse se finire la frase oppure o no.
Ma alla fine dice: - Stavi urlando il nome di Josh-
Abbasso lo sguardo.
Non so che rispondere.
Lei sospira. E appoggia il suo mento sopra la mia testa. E cosí restiamo fino a quando non mi addormentato con la consapevolezza che i miei incubi e Josh, saranno un marchio impresso per sempre in me. E che non c'è modo di cancellarli.

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