IL BALLO

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Feci un respiro profondo.

Tentai di scacciare l'ansia facendomi aria con le mani, agitandole freneticamente. Mancava solo un'ora e mezza al ballo, ed era arrivato il momento di prepararsi, un rituale sacro che non ammetteva interruzioni di alcun genere. Perciò mi chiusi a chiave in bagno, aprii il cassetto contenente tutti i miei trucchi ed estrassi quelli che mi sarebbero serviti. Eyeliner. Mascara. Matita nera. Fondotinta, cipria, blush e, eventualmente, rossetto rosso.

"Ci siamo", pensai.

Appoggiai i gomiti sullo scaffale che partiva da sotto lo specchio e, con la concentrazione di un artificiere che sta per disinnescare una bomba, iniziai a stendere la prima riga di eyeliner.

Esattamente trentanove minuti dopo ero pronta: sfoggiavo persino il mio rossetto rosso nuovo di zecca. Non l'avevo mai messo prima e, dato che gli occhi erano già molto truccati di per sé, avevo paura di risultare troppo volgare; nonostante ciò, però, si sarebbe abbinato perfettamente al mio vestito, così per una volta avevo deciso di osare.

Non mi rimaneva altro che vestirmi: saltellai in camera mia, dove aprii l'armadio in cui era conservato il mio prezioso abito. Mi tolsi il pigiama e, contorcendo le braccia all'inverosimile, riuscii a tirare su la cerniera del vestito fino a metà schiena, dove il tessuto finiva per lasciare il resto della pelle scoperta. Per un pelo non si vedeva la fascetta del reggiseno, altrimenti avrei dovuto cercare una soluzione per nasconderla.

Scelsi i miei orecchini preferiti, due semplici perle bianche, e una collana con un diamantino, che luccicava riflettendo la luce. Poi mi infilai con cura i miei tacchi vertiginosi, due décolleté nere con un cinturino sul davanti che mi teneva fermo il piede, evitandomi di cadere rovinosamente. Erano alte dodici centimetri e sapevo bene che mi sarei amaramente pentita di averle indossate, ma non potevo certo presentarmi al Ballo con le Vans.

Una volta pronta mi osservai nello specchio a figura intera nella camera dei miei genitori, facendo alcune piroette e sorridendo alla mia immagine riflessa. Ero molto contenta del risultato, e quando mia madre entrò sembrò piacevolmente stupita. Avevo deciso di tenerle nascosto il vestito per farle una sorpresa, ed ebbi l'impressione che, mentre mi guardava, fosse fiera di me, e di ciò che ero diventata. Non ero più una bambina cicciottella e impacciata: nell'ultimo anno, e in particolare quella sera, ero sbocciata come una rosa; nessuno poteva negarlo. Camminai a testa alta fino alla cucina, dove mio padre stava ancora mangiando, tenendo bene a mente ciò che avevo appreso guardando svariati tutorial su youtube: fare passi piccoli, piegare leggermente le ginocchia, ancheggiare, spalle dritte, guardare davanti a sè, tenere la testa alta come se fosse appesa a un filo. Probabilmente dovevo sembrare una giraffa in bilico su una fune, ma feci finta di niente. Mi lasciai rimirare per un silenzioso minuto e poi mio padre si alzò, dicendomi che ero bellissima, e prese le chiavi della macchina. Io afferrai la mia pochette tempestata di strass, mi infilai la giacca e lo seguii nel freddo garage.

Quando arrivai al luogo dell'evento mancavano solo dieci minuti all'inizio e, mentre ero ancora in macchina, telefonai a Cassandra per sapere dove fosse. Non mi rispose, così decisi di chiamare Giacomo, sperando che fosse già arrivato. Abbassai al minimo il volume della chiamata, così che mio padre non sentisse nessuna voce maschile: non sapevo se mia madre gli avesse già raccontato di lui e, nel dubbio, era meglio non rischiare. Gliene avrei parlato in un momento più opportuno.

Non feci in tempo a digitare il numero, però, che qualcuno bussò sul finestrino dell'auto: era lui.

Cazzo.

Mio padre si voltò di scatto verso di me, preoccupato, chiedendomi se lo conoscessi. Probabilmente pensava che fosse un ubriaco intenzionato a provarci con la sua bambina, ed era già pronto a difendermi.

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