PAURA

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Mi sedetti sull'unico sedile che era rimasto, quello dietro l'autista. Mi accorsi di indossare ancora la sciarpa rossa di Giacomo, e mi appuntai mentalmente che avrei dovuto restituirgliela al più presto. Mi strinsi nel morbido e caldo tessuto, sorridendo come un'idiota e con lo sguardo sognante. Era stato un pomeriggio fantastico: ancora non potevo credere di avere ritrovato Giacomo e, soprattutto, di avere scoperto che abitava a pochi isolati da casa mia. Era semplicemente... sensazionale. Cosa avevo fatto per meritarmi quello? Non riuscivo a capacitarmi della mia enorme fortuna. Un'occasione così non mi sarebbe mai più capitata, e decisi che mi sarei tenuta ben stretta un ragazzo così meraviglioso come Giacomo. Era carismatico, simpatico, perspicace, intelligente e... assolutamente stupendo.

Ero assorta nel pensiero dei suoi occhi nocciola quando l'autobus si fermò così violentemente che fui sbalzata in avanti e per poco non caddi giù dal mio sedile. Mi aggrappai a un palo di metallo e mi accorsi che fortunatamente non c'era stato un guasto: semplicemente, la corriera si era fermata per fare salire dei passeggeri. Scrutai i volti che oltrepassavano le porte in vetro automatiche, e uno in particolare mi rimase impresso: era un uomo sulla cinquantina, trasandato, con una bottiglia di birra in una mano e una sigaretta mezza consumata nell'altra. Prima di salire si era chinato per spegnerla, strusciandola sull'asfalto. Aveva i capelli lunghi, disordinati e sporchi, le labbra cosparse di piccoli taglietti e gli occhi arrossati. Il suo viso era solcato da rughe profonde e la pelle aveva un colorito giallastro. Sul dorso della mano sinistra c'era il tatuaggio di un rottweiler nero con la bocca spalancata che mostrava i denti appuntiti, e che sembrava pronto a sbranare chiunque. Quell'uomo, dovevo ammetterlo, mi incuteva una certa paura.

L'autista gli chiese di mostrargli il biglietto ma lui proseguì imperterrito, andandosi a sedere su uno dei sedili in fondo.

L'uomo al volante si alzò con aria minacciosa e lo seguì, ripetendogli che, se voleva rimanere sul mezzo, era necessario che fosse in possesso del biglietto.

L'inquietante individuo non rispondeva; se ne rimaneva lì seduto, con le braccia conserte e uno stuzzicadenti che ballava tra i denti. Il resto delle persone a bordo era ammutolito.

La tensione era palpabile, ma quel clima teso fu interrotto bruscamente quando quel tizio si alzò di scatto e sferrò un pugno all'autista, facendogli sanguinare il naso. Quest'ultimo rispose allo stesso modo, e i due iniziarono una violenta lotta. Io ero terrorizzata e saltai giù dal mio sedile, cercando di scappare, ma mi accorsi che le porte erano chiuse: ero in trappola.

Lo sguardo riprovevole di quel pazzo si soffermò su di me: evidentemente aveva notato con la coda dell'occhio che stavo cercando di scappare.

Il mio cuore iniziò a battere più forte. Sentivo le guance scaldarsi e le mani che mi tremavano.

In quel momento teneva l'autista per il bavero della giacca, ma lo lasciò andare bruscamente facendolo cadere per terra con un grande tonfo.

Lo vidi con i suoi occhi arrossati e spaventosi dirigersi lentamente verso di me, mentre stringeva i pugni. Io indietreggiai, ma presto la mia schiena toccò il vetro anteriore del mezzo: non avevo via di scampo. I miei occhi saettavano da un viso all'altro, scrutavano i passeggeri uno per uno in cerca di aiuto, ma nessuno sembrava avere intenzione di muovere un muscolo, erano tutti pietrificati.

Una lacrima mi scivolò lungo la guancia, suscitando l'ilarità dell'uomo.

Con mio grande orrore estrasse dalla tasca un coltellino, che luccicò sotto il faretto a neon.

Mi intimò con la sua voce roca di darmi tutto quello che avevo, altrimenti me la sarei vista brutta.

Io non alzai un dito, così lui si avvicinò ancora di più e gridò:

- Cosa non capisci della frase "altrimenti ti ammazzo", ragazzina?

Un forte odore di alcol e tabacco uscì dalla sua lurida bocca, e io fui costretta a farmi scendere lentamente i manici della mia borsetta lungo il braccio, per poi porgergliela tremante. Lui la afferrò e sorrise soddisfatto, rivelando una corolla di denti nerastri e storti. Senza accorgermene feci una smorfia di disgusto. Lui se ne accorse e i suoi occhi si fecero ancora più minacciosi; mi puntò alla gola il coltellino e sussurrò:

- Non ti piaccio abbastanza, ragazzina? Peccato, perché a me tu piaci molto.

Il suo sguardo si fece perverso e sul suo volto apparve un ghigno che mi spaventò a morte. Sentii la punta del coltellino sul mio collo. Era troppo, troppo vicina.

Spinta da una scarica di adrenalina, piegai velocemente il collo a destra, liberandomi della lama, e poi gli sferrai un calcio in mezzo alle gambe. Un calcio molto forte.

Con mia grande sorpresa, lui cadde in ginocchio, premendosi le mani sull'inguine ed emettendo grugniti. Afferrai velocemente la mia borsa e mi allontanai da lui, pur sapendo che un paio di metri di distanza non mi avrebbero certo salvato la vita.

Grazie a Dio, però, l'autista si rialzò ed ebbe la brillante idea di precipitarsi ad aprire le porte per liberare i passeggeri. Scappai fuori balzando giù da quel maledetto autobus, e gridai rivolta agli altri:

- Grazie tante di avermi aiutata!

Tutti quanti abbassarono lo sguardo o scambiarono un'occhiata con il loro vicino, ma non dissero niente.

Si alzarono lentamente e scesero per paura che quel delinquente facesse del male anche a loro, ma io non volli rimanere con quel gruppetto di menefreghisti. Mi allontanai correndo, fino a che arrivai alla fermata precedente e mi sedetti su un muretto ad aspettare l'autobus successivo.

Arrivò in una decina di minuti e, quando salii, incrociai i miei occhi preferiti: seduto proprio lì davanti a me c'era Giacomo. Gli rivolsi il mio miglior sorriso e mi sedetti accanto a lui, avvolgendogli la sua sciarpa attorno al collo.

- Ehi, guarda chi si rivede. - mormorò lui.

- Non dovevi andare a casa con Luca? - gli chiesi aggrottando le sopracciglia.

- Sì, dovevo. Ma indovina? Mi ha dato buca all'ultimo minuto e mi ha detto che preferiva andare a casa di Cassandra.

- I suoi devono uscire stasera...

- Esatto.

- Il richiamo del sesso, che ci vuoi fare!

Scoppiammo a ridere e mi chiese perché fossi salita a quell'ora e a quella fermata.

- Sei andata a casa del tuo amante? È per questo che dovevi tornare così presto?

- Ma va', scemo! Sono dovuta scappare da un assalitore... - dissi con uno sguardo intrigante e misterioso.

- Come un assalitore? Chi cazzo è? Cosa ti ha fatto? Stai scherzando, vero?

La sua preoccupazione mi fece arrossire e così, soddisfatta della sua reazione, gli raccontai tutto.

Forse inventai qualche particolare per rendere la storia più avvincente, ma la sua crescente apprensione nel sentire le mie parole mi faceva sentire importante. Come se, finalmente, a qualcuno importasse davvero di me.

Quando ebbi finito di parlare, lui mi abbracciò di slancio, cosa che mi lasciò senza fiato.

Era incredibilmente piacevole stare tra le sue braccia, così lo strinsi più forte, sentendo il profumo della sua pelle.

Quando ci staccammo, mi guardò negli occhi e mi baciò delicatamente sulla fronte, provocandomi i brividi lungo tutta la spina dorsale.

- D'ora in poi ti toccherà stare sempre vicino a me, se non vuoi che ti capitino ancora cose come queste.

Gli sorrisi dolcemente e appoggiai la testa sulla sua spalla, rassicurata.

Ero così... in pace. Mi sentivo al sicuro.

Non sapevo cosa fosse quello che provavo per lui, in fondo quasi non lo conoscevo.

Ma non importava quello, no, l'importante era che insieme stavamo bene; mi sentivo a un metro da terra e felice come poche volte ero stata.

Forse era destino, forse no; chi lo sa, l'importante era che ci eravamo trovati. E io ero sicura che non ci saremmo mai più persi.

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